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Presentarsi con attenzione sui social ha un effetto diretto sul nostro lavoro

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sbagliando si impara

Presentarsi con attenzione sui social ha un effetto diretto sul nostro lavoro

Vi sarà capitato di incontrare manager o CEO, personaggi apparentemente tutti d’un pezzo e stimati e, una volta usciti dalla riunione, cercando il loro nome sui Social Network, trovarli immortalati in foto improbabili o quantomeno discutibili. La mancanza di consapevolezza rispetto alla visibilità dei nostri profili social è uno dei principali problemi alla base di un personal branding lacunoso. Tutti i nostri canali social (e non solo, se pensiamo a Whatsapp o Messenger) sono strettamente collegati tra loro e, di conseguenza, anche il racconto di noi stessi e la reputazione che ne deriva. Storie di marketing - cronaca più o meno infelici ci hanno insegnato che è fondamentale essere coerenti nella creazione dei nostri profili: pensare che «quello che è su Facebook rimane su Facebook» è oggi una pia illusione.

Anche ciò che condividiamo sui social senza verificarne le fonti impatta sulla nostra reputazione. Mancanza di consapevolezza, incapacità di individuare il contesto in cui ci muoviamo e l’incoscienza che fa credere ad alcuni che stare dietro uno schermo sia una protezione contro il mondo, hanno dato vita a creature non più immaginarie quali troll o hater (un troll è un utente anonimo che interagisce nelle conversazioni in maniera polemica e provocatoria, mentre un hater è qualcuno che non esita ad attaccare, con parole violente, personaggi famosi). È proprio con questi personaggi che il fenomeno delle fake news trova terreno fertile.

Vi starete chiedendo cosa c’entrino le fake news con il personal branding. È presto detto: oggi il fenomeno sta dilagando e questo tipo di notizia è pubblicata ad arte per convincere gli utenti a condividerle e diffonderle in numero sempre più elevato. Purtroppo l’infinità di informazioni in cui ci muoviamo quotidianamente fa sì che, spesso, alcune notizie non siano lette con attenzione e siano condivise senza averne verificata la fonte, la veridicità o, perfino, la plausibilità. Questo è un fattore ad impatto fortissimo sulla credibilità di chi condivide le notizie e provoca una ricaduta a cascata sulla propria reputazione e sul proprio personal branding.

Reputazione e Personal Branding: è davvero solo una questione personale?

Per ora abbiamo visto cosa dobbiamo evitare di fare per danneggiare la nostra reputazione. Ma c'è qualcosa che possiamo fare per rinforzare il nostro personal branding? Muoversi in un contesto così ricco di informazioni e riuscire a discernere il vero dal falso o ciò che è di nostro interesse da quello che non lo è, non è semplice. In un interessantissimo libro del 2011 dal titolo «Il filtro. Quello che internet ci nasconde», Eli Pariser spiega come la «bolla dei filtri» (the filter bubble) sia il risultato degli algoritmi presenti sui social media e sui motori di ricerca che offrono maggiore visibilità alle persone, ai gruppi, ai siti verso cui abbiamo già dimostrato interesse.

Questo fa in modo che tendiamo ad informarci solo attraverso quello che ci viene suggerito dagli algoritmi, eliminando l’aspetto fondamentale per cui internet è nata: la capacità di metterci in contatto con il mondo, di farci vedere punti di vista sconosciuti, di essere curiosi e informati. Tornare a utilizzare internet in questo modo ci porterà a sviluppare nuovi interessi, prendere in considerazione opinioni differenti dalla nostra e sviluppare quelle conversazioni costruttive che oggi sui Social Network sono ancora troppo poche, ma che fanno la differenza nella costruzione di un brand, sia personale che aziendale. Infine, un ultimo aspetto fondamentale per godere di una buona reputazione e rinforzare il proprio personal branding è riuscire a sviluppare un network di contatti che sia di supporto nella costruzione di questo percorso e da cui apprendere e imparare.

Per farlo, non bisogna assolutamente sottovalutare i «legami deboli». La teoria dei legami deboli è frutto di uno studio del sociologo Mark Granovetter che, nel 1973, pubblicò una ricerca che dimostrava come oltre l’80% degli intervistati e coinvolti nello studio aveva trovato lavoro attraverso persone che frequentava occasionalmente o quasi sconosciute: i cosiddetti legami deboli, appunto. Nel contesto dei Social Network questo tipo di legami possono essere più facilmente accessibili. Questo non significa che è necessario avere un numero infinito di contatti: la quantità tende a peggiorare la qualità della relazione. Significa invece scegliere bene le persone che fanno parte del nostro network perché possano diventare occasione di scambio, confronto e, perché no, di business!

* Consultant, Newton Management Innovation Spa

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