L’oceano di dati che pervade i processi aziendali interessa da (molto) vicino anche i professionisti del marketing e delle vendite, perché sono in primis questi manager - attraverso l’analisi delle informazioni raccolte dal mercato e dai consumatori - a poter intervenire sulle strategie di business, affinandole in funzione dell’evoluzione di domanda dei clienti. E la tecnologia, in questo cambiamento, gioca come facile immaginare un ruolo importante, se non decisivo.
Un recente studio condotto da Ibm Institute for Business Value in collaborazione con Oxford Economics («From data deluge to intelligent insights: Adopting cognitive computing to unlock value for marketing and sales»), ci dice in proposito come circa i due terzi (il 64% per la precisione) degli oltre 900 fra Chief marketing officer (Cmo) e sales leader intervistati a livello globale ritenga pronti i rispettivi settori ad adottare tecnologie di tipo cognitivo nei prossimi tre anni. Per contro, osservano gli autori del rapporto, solo un quarto di questi (il 24%) sta pensando di mettere in atto opportune strategie per implementare, da subito, tali soluzioni.
Se, in altri termini, i manager concordano sulla «soddisfazione del cliente» come principale elemento di valore nell’adozione di strumenti in grado di comprendere e interpretare rapidamente grandi quantità di dati strutturati e non strutturati (come suoni e immagini) allo stesso modo degli esseri umani, al fine di prendere decisioni più accurate, una buona parte degli stessi affermano di non essere sicuri che le loro organizzazioni siano attualmente pronte per cavalcare questa transizione.
C’è un problema di competenze alla base di questo scetticismo? Oppure di una scarsa consapevolezza dei benefici legati all’adozione di sistemi di computing cognitivo, dediti alle analisi di tipo predittivo dei dati per trasformare insight in linee guida? Probabilmente entrambe le cose. I Cmo oggetto di indagine, questo è certo, si aspettano un reale vantaggio da queste tecnologie in due aree chiave: una migliore esperienza dei clienti e migliori risultati finanziari, comprendendo in queste voci la maggiore capacità di identificare i ritorni sugli investimenti effettuati in attività di marketing. Per i responsabili di vendita, invece, il plus principale è quello di poter ottenere una comprensione a 360 gradi dei clienti, per prevederne in modo più accurato le esigenze e per migliorare le modalità di ingaggio di nuovi clienti potenziali e la gestione delle lead.
I livelli di adozione di soluzioni cognitive, specifica ancora la studio, rimangono al momento limitati. Solo un’impresa su dieci considera infatti l’applicazione di questa tecnologia matura e pronta per il mercato e la ritiene un valido strumento per la propria organizzazione. Da qui il vademecum stilato dagli esperti dell’Institute for Business Value per sfruttare il pieno potenziale del cognitive computing nelle funzioni di marketing e vendita, che si articola sostanzialmente in quattro fasi.
La prima richiede di integrare queste soluzioni all’interno della strategia di «digital reinvention», e cioè l’insieme di tecnologie digitali (dalle app mobili all’Internet of Things fino alla realtà virtuale) utilizzate per rimodellare l’esperienza del cliente. In secondo luogo occorre migliorare non solo le capacità analitiche dei dipendenti, ma anche le loro competenze di business e decisionali, puntando a formare figure con un’ampia prospettiva della strategia e dei piani di sviluppo dell’azienda. Serve quindi pensare alle soluzioni cognitive come a un’opportunità per collaborare e migliorare l’allineamento a livello di management (fra Cmo e responsabile vendite, Chief information officer, Chief technology officer e Chief digital officer) e a livello di funzioni (sviluppo del prodotto, risorse umane, operation e finanza).
In ultima istanza, il suggerimento degli esperti è quello di cominciare, anche in piccolo se necessario. Senza temere che il passaggio alle soluzioni cognitive richieda di «eliminare e sostituire» gli strumenti e i processi finora utilizzati per analizzare i dati e migliorare le esperienze dei clienti. Il vero rischio, conclude così la nota che accompagna lo studio, è quello di attendere troppo a lungo nelle retrovie, mentre le aziende concorrenti si portano (o già si trovano) in prima linea.
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