Nelle grandi aziende con cui ho collaborato in questi anni sono state introdotte spesso nuove modalità organizzative di lavoro per rispondere a scenari complessi, più competitivi, dinamici e che richiedono rapidità di risposta, nonché per soddisfare le esigenze di flessibilità dei nuovi mestieri e delle nuove generazioni. Parole come agilità, flessibilità, riduzione dei livelli gerarchici e smart working hanno portato a ripensare non solo l’organizzazione in generale, ma anche il teamworking, facendo emergere la necessità di ridefinire comportamenti, atteggiamenti e competenze. In questo articolo vi parlerò di come il teamworking, un pilastro fondamentale per affrontare il contesto complesso, si stia progressivamente trasformando.
Questa evoluzione riguarda il modo di costituire i team, di organizzarli, di gestirli, di monitorare le performance, di farne parte e, soprattutto, di coinvolgere e motivare i membri del team al raggiungimento di risultati sempre più ambiziosi, con risorse più limitate e con minori prospettive di carriera.
I «nuovi team» presentano le seguenti caratteristiche:
1) più virtuali e a distanza, che con relazione faccia-a-faccia;
2) confini labili e minore durata rispetto a quelli dei decenni scorsi;
3) diversificazione interculturale e inter-funzionale al loro interno;
4) struttura più paritaria con riduzione dei ruoli gerarchici.
Affinché il teamwork, in questi nuovi scenari, possa funzionare al meglio, proviamo ad individuare le due domande eriflessioni a cui il management dovrebbe dare risposta.
1) Come creare un ambiente “engaged” quando i team sono molteplici, i confini poco chiari, la durata incerta e gli obiettivi sempre più sfidanti? Cerchiamo di capire quali sono le condizioni necessarie, ma non sufficienti sulle quali concentrarsi per riconfigurare le attività di coinvolgimento, di motivazione, di sostegno e di formazione in modo da massimizzare l’efficacia del nuovo teamwork.
Il patto con l’Azienda
Il management non deve fare solo teambuilding per far stare bene i team e creare engagement. La prospettiva si è ribaltata. Oggi deve garantire ai membri del team consapevolezza e visione: «Se mi sento rispettato, se il patto con l’Azienda è chiaro e condivisibile, sarò più efficace nel lavorare in team temporanei, multipli, veloci». I membri del team devono dunque poter «vedere e toccare» il senso di ciò che fanno e i team leader devono trasmettere, anche con le tecnologie di comunicazione a distanza e i social network, il «saper fare» e il «saper essere».
Micro-learning e gruppo come ambiente di apprendimento
Non esiste più separazione tra ambiente di lavoro ed ambiente didattico. Si parla di Learning Path, cioè esperienze di apprendimento ricche di stimoli, di cui sarà il membro del team a decidere percorsi, tappe, linguaggi e quante volte percorrere i nuovi paesaggi della conoscenza per ottenere il massimo beneficio. Questa «liquidità della formazione» è composta di micro-esperienze di apprendimento auto-consistenti e combinabili liberamente, in controtendenza ai modelli classici.
Da “teamwork” a «teams that work»
Le nuove generazioni non si aspettano legami, relazioni e socialità, ma cercano l’opportunità di essere parte di un’organizzazione per alcuni anni, di partecipare allo sviluppo del business, di fare esperienze, ottenere visibilità e riconoscimenti e di espandere il proprio network. Il management dunque deve sempre più orientarsi verso questi bacini motivazionali, trovando le leve che soddisfino queste aspettative.
2) Quali competenze, abilità e mindset devono sviluppare i team nei contesti complessi?
Queste competenze e abilità dei nuovi team di certo non sono esaustive, ma sono, oggi più che mai, indispensabili:
1) Distinguere un contesto complesso da uno complicato. Resilienza. Intelligenza collettiva e sociale.
2) Capacità di impiegare le conoscenze per risolvere in maniera adattiva problemi sempre nuovi e inattesi
3) Fiducia “a presa rapida”. Nei gruppi tradizionali si doveva salire la scala della fiducia con i dovuti tempi, ora la costruzione della fiducia deve essere immediata.
4) Focus sui risultati e, contemporaneamente, visione sistemica per cogliere eventuali segnali deboli, priorità improvvise e cambi di scenario dei progetti su cui si è coinvolti.
5) Agilità digitale, che significa non solo saper utilizzare le tecnologie, ma avere un digital mindset. Inutile parlare di agility e smartworking se poi non si usano i device a disposizione.
Edgar Morin diceva che bisogna imparare a navigare in un «oceano di incertezze» tra alcuni «arcipelaghi di certezze». Questo è ciò che oggi ci si aspetta dal teamwork: avere a disposizione terre ferme e approdi sicuri, ma soprattutto saper navigare in mare aperto, senza una rotta prestabilita, ad una velocità maggiore e con il rischio di incontrare tempeste improvvise e scogli nascosti.
* Senior Consultant Newton Management Innovation Spa
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