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Tecnologia, globalizzazione e la stretta sui migliori posti di lavoro

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tra quantità e qualità

Tecnologia, globalizzazione e la stretta sui migliori posti di lavoro

«Il mercato azionario è ai massimi storici! I posti di lavoro ritornano prepotentemente e in gran numero!», ha declamato Donald Trump lo scorso dicembre con un tweet. Il presidente degli Stati Uniti è il più illustre sostenitore dell’idea che la quantità sia pressoché tutto ciò che conta in fatto di posti di lavoro. Invece, i numeri dei posti di lavoro da soli sono un barometro sempre meno affidabile delle condizioni dell’economia. Ai lavoratori, che già subiscono forti pressioni dall’evoluzione della tecnologia e dalla globalizzazione, serve un nuovo indice di misura, basato sulla qualità del lavoro, oltre che sulla sua quantità.

Alcuni politici più avveduti se ne sono accorti subito. Philip Hammond, Cancelliere dello scacchiere del Regno Unito, nel suo discorso di novembre sul budget ha parlato di «un’attenzione mirata per far accedere sempre più persone al mondo del lavoro». Ma ha specificato anche che il lavoro di cui parla dovrebbe essere «di buona qualità e ben retribuito». Pochi giorni dopo, il governo britannico ha illustrato le quattro grandi sfide della sua strategia industriale, tra le quali la promozione dell’intelligenza artificiale. «Incorporare l’IA all’interno del Regno Unito porterà alla creazione di migliaia di posti di lavoro di buona qualità e spingerà la crescita economica», si legge in più punti del documento strategico. La storia recente lascia intuire che il Regno Unito forse indulge in desideri velleitari. L’automazione è una delle forze individuate da David Autor del MIT tra quelle che sottraggono «buoni posti di lavoro» - quelle posizioni che richiedono competenze medie e alle quali aspirerebbero «i lavoratori comuni» (se vogliamo utilizzare il mantra della classe politica).

Altra forte pressione è quella esercitata dalla globalizzazione: la forza lavoro rimasta ormai si sta polarizzando o in posizioni manageriali, professionali e di alto livello o in posti di servizio di basso livello. A mano a mano che sopravvivono, questi posti di lavoro esigono competenze sempre più raffinate. Per i manager aggrappati alle loro posizioni, tutto ciò comporta sfide nuove, continue e rilevanti. Rick Wartzman, il cui libro «The End of Loyalty» porta il sottotitolo di «The Rise and Fall of Good Jobs in America» (Ascesa e declino dei buoni posti di lavoro in America) dice che la sfida inizia con un primo dilemma: se tagliare i posti di lavoro oppure trovare il modo di delocalizzare il personale in conseguenza della rivoluzione dell’automazione.

«Il management deve prendere decisioni di questo tipo», mi ha detto. Per esempio, «capire come collocare alcune persone, o gruppi di persone e tecnologie varie, nella posizione giusta per massimizzarne l’efficacia. Praticare tagli alle spese in sede di consiglio di amministrazione non è management». Il Brookings Institution ha studiato negli ultimi tempi i 14 milioni di buoni posti di lavoro negli Stati Uniti e ha riscontrato che il loro «voto digitale» - basato sulle conoscenze, le competenze e gli strumenti necessari a svolgere quei compiti particolari - tra il 2002 e il 2016 è salito da 29 a 50 su un possibile voto massimo di 100 per le occupazioni «più intense dal punto di vista digitale». In altre parole, quindi, avere competenze digitali di base è ormai un prerequisito indispensabile per molte posizioni - meccanico, infermiere, costruttore - che per tradizione accolgono circa i due terzi degli americani privi di un diploma universitario e ne spianano la carriera.

Questa stessa sfida deve essere moltiplicata svariate milioni di volte nei paesi molto popolosi e in rapida crescita come l’India. Un magnate del settore manifatturiero indiano che ho incontrato si è limitato a scrollare le spalle quando gli ho chiesto se in un certo senso non si sentisse responsabile nei confronti del personale che di lì a poco avrebbe dovuto licenziare, visto che stava installando nuovi macchinari molto avanzati nelle sue fabbriche. La sua reazione è stata soltanto un segno del fatto che la digitalizzazione potrebbe chiudere la porta in faccia a molti giovani indiani, che contano sulla loro istruzione primaria e le loro capacità di calcolo quasi elementari per aspirare a ottenere un posto di lavoro dignitoso in una linea di produzione.

In qualche caso, la mancanza di simili competenze fa avvizzire le prospettive di un roseo futuro per chi non avrà modo di accedere a buoni posti di lavoro. Nel libro “Janesville” di Amy Goldstein, i lavoratori licenziati dalla General Motors iniziano a frequentare il college della città del Wisconsin per ricevere una nuova formazione, ma gli insegnanti scoprono ben presto che «alcuni di loro non sanno nemmeno come si accende un computer».

Una delle responsabilità dei manager del futuro sarà quella di garantire che questo tipo di istruzione digitale di base diventi accessibile. «La prossima fase della spinta mirante a far acquisire competenze digitali dovrà necessariamente tener conto - e includere nella sua agenda più ambiziosa, consistente nel far acquisire le competenze necessarie a essere ammessi a una scuola di programmazione informatica - di un’attenzione nuova, forse meno affascinante, per le basi dell’IT, come l’uso di Microsoft Office e del software per la gestione dei contatti con la clientela (CMR)», ha scritto in un post sul suo blog Mark Muro del Brookings in relazione a un rapporto del think tank.

Il modello da adottare, dice Wartzamn, dovrà cambiare in modo tale che i manager offrano al personale opportunità di formazione continua a vita. In teoria, tutto ciò dovrebbe accadere sul posto di lavoro, più che dopo un eventuale licenziamento per esubero del personale, quando l’efficacia di una formazione specifica potrebbe essere compromessa da una generale mancanza di opportunità, come nel caso dei lavoratori disoccupati del settore automobilistico in piena recessione del 2008-2009 descritta a Janesville.

L'ultima risorsa potrebbe essere infine quella di trovare come cambiare lo status di quelli che tendono a essere considerati posti di lavoro poco appetibili. A Taiwan il governo è riuscito con successo a migliorare il decoro urbano elevando le condizioni del «brutto lavoro» dei netturbini: adesso tale mansione ha una retribuzione vicina a quella della media europea e offre una pensione dignitosa. Oltre a ciò, in alcune gare pubbliche le «squadre addette alla pulizia» di quartieri diversi ingaggiano sfide e competizioni tra di loro. Pur trattandosi di un caso idiosincratico, questo esempio sottolinea un punto sul quale Trump potrebbe soffermarsi: creare più posti di lavoro è un buon obiettivo, ma crearne di migliori è di gran lunga meglio.

(Andrew Hill è management director di FT)

Copyright The Financial Times Limited
(Traduzione di Anna Bissanti)

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