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Così le carriere tradizionali si trasformano in percorsi tortuosi

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il lavoro che cambia

Così le carriere tradizionali si trasformano in percorsi tortuosi

La carriera è una strada per i carri. È segnata ed è sufficientemente spaziosa. È una pista, qualcuno l’ha disegnata per noi. Si cammina, con fatica, ma si ha comunque la sicurezza che facendo le cose per bene, seguendo il tragitto, restando negli argini si arriva in vetta. Per questo motivo oggi quando guardiamo alle imprevedibili evoluzioni delle nostre traiettorie professionali non possiamo più parlare di carriera, dobbiamo invece parlare di viaggio professionale. Si cresce in un’azienda, poi ci si mette in proprio, poi si trova un socio, poi si cambia socio, poi si liquida la società e si ritorna dipendenti, poi si cambia ruolo, poi si cambia città. Nel mercato del lavoro non ci basta più essere camminatori resistenti che con lo zaino pesante seguono il tracciato fino alla meta. Dobbiamo invece essere strateghi, capace di cogliere i cambiamenti, anticiparli, guidarli se possibile.

Ogni viaggio è tale perché pieno di imprevisti. Nei limiti del possibile dobbiamo abituarci a prevedere l'imprevedibile, fin dagli studi. Una volta era meno importante avere risposte pronte e piani B, perché i cambiamenti di lavoro e di lavori erano molto più rari e più lenti. Oggi i mercati in cui lavoriamo chiedono alle persone e alle organizzazioni di adattarsi in un attimo ad autentici stravolgimenti. Non sempre è facile, non sempre è possibile. Ecco dunque che acquisire «la mentalità del piano B» diventa fondamentale. Mentalità del piano B non significa solo sapere che se crollano le vendite dei libri cartacei ci dedicheremo agli ebook, ma preparare il passaggio agli ebook mentre le vendite dei libri cartacei vanno ancora bene. Non si tratta quindi semplicemente di sapere che se chiude il centro di ricerca dove lavoro come chimico mi toccherà fare il venditore di prodotti chimici. Si tratta di maturare per tempo sensibilità e competenze commerciali.

In sintesi bisogna saper giocare d’anticipo. Non solo immaginare una «exit strategy», ma compiere azioni concrete che rendano quella exit strategy percorribile in tempi molto rapidi. Concretamente bisogna mettere il naso fuori dal nostro ufficio, ascoltare come si muovono le persone intorno a noi, imparare a osservare come cambia la città, la regione, il settore, il modo di produrre, di vendere e di comprare. E poi agire: un corso di formazione che il mio lavoro/percorso di studi non richiederebbe, un colloquio di lavoro con un cacciatore di teste anche quando il mio attuale lavoro mi piace tantissimo, un viaggio per una fiera/congresso a cui nessuno mi obbliga ad andare, una giornata ad aiutare/osservare un amico/parente nella sua attività.

Come mettere a fuoco queste alternative? Esplorando i territori adiacenti. Quali sono? Il settore immediatamente vicino al nostro (dalla pubblicità alle vendite), oppure il ruolo immediatamente vicino al nostro (dal musicista al discografico), oppure la tipologia di clientela vicina alla nostra (dal settore dei giocattoli a quello degli eventi per bimbi), oppure il bisogno più immediatamente vicino al bisogno che oggi soddisfiamo con il nostro lavoro (dall’occuparsi di sistemi antifurto all’occuparsi di assicurazione sulla casa). Il nostro lavoro o il nostro ambito di studio hanno tante angolazioni rispetto alle quali individuare territori adiacenti.

Un informatico che si occupa di sicurezza nel mondo finanziario ha dei territori adiacenti sulle competenze informatiche da un lato (programmazione, sviluppo software, sviluppo nuove applicazioni eccetera) e sul settore sicurezza finanziaria dall’altro (consulenza, risk management, compliance normativa). Un biologo marino ha la biologia da un lato (ricerca e sviluppo, insegnamento, enti di tutela territoriale) il mare dall'altro (turismo, pesca e alimentazione, eccetera). Quindi mentre lavoro in un laboratorio come ricercatore, coltivo il mio piano B tenendo una conferenza sull’inquinamento per gli operatori della pesca. In questo modo mi accredito come esperto agli occhi degli operatori del settore. Mi faccio conoscere, mi rendo disponibile a nuove iniziative.

Per il nostro piano B lavorativo dobbiamo riconsiderare seriamente anche la nostra vita non lavorativa. Nel viaggio professionale la vita va riorganizzata perché se restiamo nel nostro guscio di relazioni e di interessi il lavoro ci appassisce tra le mani. Perdiamo stimoli creativi, perdiamo contatto con la realtà e di fronte alla prima avversità restiamo senza munizioni. Ai bei tempi del “posto” potevamo vivere la nostra dimensione extraprofessionale in modo assolutamente statico. Il nostro hobby, il nostro ristretto e confortevole giro di amici, le nostre cene con i colleghi. Oggi questa linea di confine tra lavoro e “non-lavoro” è molto più labile. Come ribadito più volte in altri articoli il lavoro è sempre più creazione e sempre meno esecuzione. E la creazione nasce dalla frequentazione di luoghi nuovi, attività nuove e persone nuove.

Il 50% delle storie di professionali di successo nascono da relazioni e avvenimenti estranei al contesto lavorativo: «Ho conosciuto il mio socio in palestra»; «Il mio datore di lavoro mi notò mentre raccoglievo fondi per una onlus»; «L’idea di quel packaging di successo nacque da una mia giornata al museo d’arte contemporanea»; «Ho cambiato le regole delle riunioni del mio team dopo aver visto all’opera il mio allenatore di pallanuoto»; «Per il nuovo software ci siamo ispirati alle regole contabili che ci ha insegnato un venditore di frutta di un piccolo villaggio africano».

Insomma dovremmo imitare chi è senza partner e non vede prospettive sentimentali nella sua solita cerchia di conoscenze: cambia ambiente, aderisce alle più svariate iniziative, promuove e organizza eventi, si lancia in viaggi avventurosi, nel dubbio tra una pizza con i “soliti” e un aperitivo con degli sconosciuti opta per la seconda possibilità. Quando avremo un bel piano B pronto in un cassetto saremo molto più liberi di gestire in modo consapevole ed equilibrato una crisi aziendale, un litigio con il capo, una perdita del cliente più importante, un cambio sfavorevole di normativa. Inoltre coltivare un piano B ci consentirà di guardare in faccia ai problemi, senza mettere la testa sotto la sabbia per paura di scoprire amare verità.

Definire delle alternative e soprattutto renderle concrete attraverso piccole attività (telefonate, mail, post sui social network, eventi formativi, colloqui, collaborazioni più o meno gratuite) occuperà senz’altro del tempo. D’altro canto renderà le nostre vite più ricche, più stimolanti, ci imporrà di uscire dalla zona di comfort del solito “tran tran” quotidiano. In fin dei conti come nell’evangelico «estote parati» non sappiamo in quale momento del nostro viaggio professionale (non chiamiamola più carriera) saremo chiamati ad aprire il cassetto del piano B. È ormai quasi certo che almeno una volta toccherà a tutti. È bene essere pronti.

* Managing Partner della società di consulenza e formazione Sparring

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