«Sembra sempre impossibile finché non viene realizzato» (Nelson Mandela). Sulla scrivania dell’ufficio ho questo citazione. È scritta su un biglietto di auguri di Natale. Quando è arrivato, insieme a tanti altri, non credo di aver dato molta importanza a quella frase. Anzi, credo di aver pensato che fosse uno spreco di carta. Eppure quella frase, nel mio inconscio, deve aver lasciato il segno: non l’ho messo nella carta da riciclare e l’ho posizionato in un luogo ben visibile, per osservarlo appena inizio la mia giornata lavorativa.
A chi come me sta affrontando la sfida di una nuova avventura professionale, o è nel bel mezzo di un cambio di vita, tutto all’inizio sembra impossibile. Finché non inizia a prendere forma. Io, ad esempio, ho deciso di fare qualcosa di diverso. Non totalmente differente da quello che avevo fatto negli ultimi 20 anni, ma comunque nuovo, anche se vicino alla mia zona di comfort. Ero convinta - e lo sono ovviamente ancora adesso - che si potesse guardare il mondo delle risorse umane da un punto di vista diverso. Un punto di vista più moderno, digitale e tecnologico.
Credo che l’idea avesse iniziato a prendere forma un paio di anni prima. Poi un amico, nonostante fosse CEO di una grande multinazionale, ha iniziato a raccontare le sue idee di start up e di nuovi business. Aveva trasformato in realtà molte di quelle idee, alcune erano davvero eccezionali, altre molto meno. Ma non era il successo (o il fallimento) l’aspetto importante: il suo cervello era in costante movimento, al di là del suo settore e al di là della azienda che stava guidando.
Quando la mia idea imprenditoriale ha iniziato a concretizzarsi, è stata rivista più volte, è stata criticata ed è stata analizzata centinaia di volte. In quanto tempo? Forse più di due anni. Quando è arrivato il momento di fare sul serio, il budget e il Business Plan erano già pronti. Non scritti ma elaborati, che è la fase più importante. Mi mancava però un pezzo. Avevo bisogno di qualcuno che contrariamente a me fosse già un imprenditore. Che avesse il gusto di rischiare. Mi mancava qualcuno che fosse anche in grado di parlare la mia stessa lingua.
Quando ho trovato il mio socio siamo partiti immediatamente: pochi (pochissimi) mesi per mettere a terra il progetto e renderlo vero: da metà febbraio agli inizi di luglio. Meno di cinque mesi per rendere possibile quello che pochi mesi prima sembrava impossibile. Io credo, indipendentemente dal nostro ruolo in azienda, che dovremmo insegnare - a noi stessi e a tutti coloro che lavorano insieme a noi - che, salvo casi eccezionali, nessun progetto è davvero irrealizzabile. Può volerci molto tempo, può essere necessario coinvolgere altre persone o possono servire nuovi strumenti. Ma non dobbiamo mai cadere nell’errore di pensare che qualcosa sia impossibile.
* Managing Director di EasyHunters
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