Per il fisico Heinz von Foerster le domande di cui si sa già la risposta sono illegittime. Legittime sono invece le domande per le quali non si conosce risposta, tutta da costruire e da inventare. Adottando questo punto di vista, il nostro modello educativo e le traiettorie di sviluppo della leadership all’interno delle organizzazioni subirebbero un drastico cambio di prospettiva. Il processo di apprendimento – a scuola come in azienda – è basato quasi interamente sul trasferimento di conoscenza di chi sa (il docente o il manager) ad “allievi” che devono acquisire e replicare le conoscenze ricevute. Molto meno spazio viene dato allo sviluppo della capacità di elaborare un pensiero proprio e di contestualizzare le conoscenze.
In sostanza, un buon allievo conosce la risposta giusta alla domanda che gli si pone (si pensi ad esempio alla proliferazione dei test multiple choice ad ogni livello di istruzione scolastica, anche quelli universitari e post-universitari). Nello stesso modo, nella visione del manager, un buon collaboratore è colui che si comporta nello stesso modo in cui si comporterebbe lui. Di fronte alle situazioni reagisce con lo stesso tipo di risposta. Questo modello tende a costruire giovani istruiti, ma poco “saggi” e manager d’azienda che confondono la complessa gestione dell’azienda con l’applicazione di norme, check-list e «regole d’oro».
In «Nuovo Cinema Paradiso» una maestra in un piccolo paesino della Sicilia degli anni 40 chiede ad un suo alunno di risolvere un problema di aritmetica: quanto fa 5x5. L’alunno, in chiara difficoltà, raccoglie al volo il suggerimento di un compagno che gli mostra un abete, e di getto risponde all’insegnante: «Natale!», scatenando l’ira della maestra. Tutto molto realistico, scontato. Eppure, in una situazione come questa potrebbe esserci spazio per una reazione diversa. Potrebbe essere ben più interessante capire perché il ragazzo ha risposto in questo modo, indagare il suo processo cognitivo, far emergere le sue argomentazioni, i suoi pensieri, le sue deduzioni.
Un rapido momento, non valutativo, dedicato a far emergere il processo mentale che ha generato la risposta dello studente gli fornirebbe una chiave di interpretazione delle assunzioni che ha fatto e lo aiuterebbero a creare nuove categorie cognitive. Una ricchezza, in alcuni casi, molto più ampia rispetto al semplice invito a studiare di più. Basterebbe, ad esempio, sospendere per un istante il giudizio e chiedere al bambino: «Mi fai capire perché hai risposto Natale?». Con il giusto tono, si aprirebbe uno spazio educativo altrimenti chiuso.
La domanda della maestra di Tornatore sarebbe stata considerata illegittima da von Foerster, perché si conosce già la risposta corretta. L’utilizzo di simili domande per il fisico austriaco “banalizza” il sapere e standardizza il comportamento, anestetizza la capacità e volontà di attivare un ragionamento, spegne la curiosità, rende la persona una macchina. Le domande legittime, invece, sono tutte quelle per le quali non si conosce la risposta, tutta da costruire e da inventare. Queste educano a vivere, a pensare, a contestualizzare le conoscenze.
Emblematica a tal proposito è la storiella del professore che chiede ad uno studente di mostrare come è possibile determinare l’altezza di un grattacielo con l’aiuto di un barometro. La prima risposta sorprende il docente: «Porto il barometro in cima all’edificio, lo lego ad una corda, lo calo fino alla strada, faccio un segno e poi lo tiro su e misuro la lunghezza della corda e quindi l’altezza del grattacielo». La risposta è corretta perché risolve il problema, ma non è quella che si attende il professore (usare il barometro per determinare la differenza di pressione atmosferica tra base e vertice dell’edificio).
Dopo un primo smarrimento, il professore decide di dare al ragazzo un’altra possibilità per rispondere alla domanda in modo tale da dimostrargli le sue conoscenze di fisica. Dopo cinque minuti di silenzio il professore chiede allo studente se vuole ritirarsi ma il ragazzo risponde che ha molte risposte a questo quesito e sta scegliendo quella migliore. Pochi istanti dopo, fornisce la sua risposta: «Porto il barometro in cima all’edificio e lo lascio cadere al suolo. Misuro il tempo di caduta con un cronometro. Quindi, usando la formula S = ½ at2 calcolo l’altezza dell'edificio».
La risposta vale allo studente il massimo dei voti e un elogio del professore che gli chiede quali fossero le altre risposte che conosceva. Al che lo studente elenca vari modi: misurare la lunghezza del barometro, la sua ombra e l’ombra del grattacielo e con una proporzione, calcolare l’altezza dell'edificio; legare il barometro ad un filo ed usarlo come pendolo per misurare il valore di g (gravità) al livello della strada e in cima all’edificio, e altre ancora. Lo studente chiude dicendo al professore che il metodo migliore in assoluto sarebbe stato quello di bussare alla porta del soprintendente del grattacielo dicendogli: «Senta, questo è un bellissimo barometro. Se mi dice l’altezza dell’edificio glielo regalo». A questo punto il professore chiede allo studente se veramente non conosceva la risposta convenzionale a questa domanda. E la risposta del ragazzo lo gela: «La conosco, ma non ne posso più di una scuola e di professori che tentano di inculcarmi la risposta giusta».
* Amministratore delegato e partner di Newton Management Innovation Spa
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