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La trasformazione digitale è l’ecosistema strutturale del Paese

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La trasformazione digitale è l’ecosistema strutturale del Paese

L'incertezza politica pre e post elezioni impatta sui manager pubblici: alla tentazione di fermarsi si aggiunge la «sindrome da abbandono» da parte di una dirigenza che non ha risolto il suo rapporto con la politica tra autonomia invocata a parole e quella che talvolta è sudditanza di fatto. Dovrebbe lavorare a pieno regime, ad esempio, la macchina dell’attuazione delle riforme: dalla scuola al lavoro, dal welfare alla giustizia. Ci sono leggi da attuare, linee guida da sviluppare e azioni di accompagnamento e di formazione da mettere in pratica.

Altrettanto non può fermarsi l’impegno, dallo Stato centrale al più piccolo comune, per il raggiungimento degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 che l’Italia ha recepito e per cui esiste un Piano nazionale che deve trovare attuazione. Né possiamo permetterci ritardo nelle politiche di coesione e nell’utilizzo dei fondi derivanti dalla programmazione europea. E soprattutto, a mio avviso, il processo cruciale che non può essere interrotto è la trasformazione digitale della PA.

Non è un aspetto laterale dell’azione pubblica perché non esiste una PA non digitale. Il digitale non è uno strumento né tanto meno un settore della vita economica, sociale, relazionale e culturale, ma è l’ecosistema strutturale. L’agenda digitale è l’agenda dello sviluppo del Paese, perché qualsiasi politica di sviluppo economico non può che appoggiarsi sulla trasformazione digitale dei prodotti, dei processi, dei ruoli. La mia opinione è che l’economia digitale traini la crescita e renda possibile un percorso di riforme. Per esempio, la Sanità pubblica richiede una trasformazione digitale che ripensi i processi sia clinici sia gestionali per fronteggiare bisogni crescenti, rivoluzione demografica e nuovi costosi farmaci. Allo stesso modo nel sistema fiscale solo il digitale può garantire l’equità che permetta a ciascuno di pagare, con semplicità, il giusto.

Nuovo lavoro si crea solo nelle professioni legate all’economia della rete e all’analisi sempre più sofisticata dei dati. Altri ambiti sono sicurezza e scuola.
Ripeto, la digitalizzazione del Paese non è un obiettivo in concorrenza con altri obiettivi. Al contrario è la piattaforma abilitante di tutte le riforme che, senza questa, rischiano di rimanere vane e inattuabili. Questa piattaforma, anche quando la tecnologia è matura, richiede un attento lavoro di programmazione, di formazione, di costruzione di una governance.

In questo percorso è fondamentale non ricominciare da capo seguendo il ciclo di vita parlamentare o dei Governi. Molto c’è da fare, ma molto è stato già fatto negli ultimi anni. PA digitale significa 32mila dipendenti pubblici nell’ICT, dei quali 18mila nelle Pubbliche amministrazioni centrali (PAC) e 14mila nelle Pubbliche amministrazioni locali (PAL), più circa 6mila dipendenti delle società in house locali e 4mila nelle società in house centrali. Ammonta a circa 5,7 miliardi di Euro la spesa esterna, ovvero senza calcolare il costo dei dipendenti ICT. Sono circa 11mila i data center delle Pubbliche amministrazioni con 160mila basi di dati e oltre 200mila applicazioni. Infine sono oltre 25mila i siti web pubblici.

Nonostante questo imponente impiego di risorse la Commissione Europea misura i progressi fatti nella trasformazione digitale e nell’attuazione dell’agenda attraverso il Digital Economy and Society Index (DESI) che per il 2017 assegna all’Italia il 25esimo posto.

Cinque appaiono in estrema sintesi gli ostacoli principali alla digital transformation della PA:
1) L’eccessiva frammentazione degli interventi, ci sono troppi centri decisionali, troppi datacenter, troppe gare non coordinate e duplicate.
2) La governance non è definita in modo chiaro e tra decisori, società strumentali e istituzioni delegate non c’è nessuno che gestisca veramente le risorse e stabilisca le priorità.
3) È inadeguata la normativa sul procurement pubblico, ossia sul modo in cui la PA compra servizi e prodotti innovativi. Il codice degli appalti è pensato più per le opere pubbliche e l’acquisto di prodotti d’uso piuttosto che per permettere alle amministrazioni di acquistare progetti complessi d’innovazione.
4) La tendenza è informatizzare l’esistente piuttosto che usare la leva digitale come strategica per ripensare ruoli e procedure. Ma un processo amministrativo inutile rimane inutile anche se digitalizzato.
5) Mancano competenze specifiche, adeguati profili professionali e cultura della trasformazione digitale nella dirigenza apicale. Ci sono pochi giovani, sono pochi i profili tecnici, non conoscono il tema i vertici, anche politici.

Questi e altri temi saranno al centro del Forum PA 2018, in programma a Roma dal 22 al 24 maggio alla Nuvola di Fuksas. In quell’occasione Enti pubblici, aziende private, autorità e cittadini si confronteranno sul futuro del nostro Paese.

* Presidente Forum PA

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