Lo smart working è una filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Con la Legge 22 maggio 2017 n. 81 recante «Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato», l’Italia si è dotata di una normativa volta a agevolare sia un sistema di tutele economiche e sociali per i lavoratori autonomi, che svolgono la loro attività in forma non imprenditoriale, sia l’adozione di modalità flessibili di esecuzione delle prestazioni lavorative all’interno dei rapporti di lavoro subordinato.
Questo secondo ambito di applicazione, esplicitato al Capo II del provvedimento, ha lo scopo di promuovere la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, aprendo di fatto all’introduzione dello smart working nel pubblico impiego. A questo si è aggiunta a giugno 2017 una Direttiva della Legge Madia che definisce le linee guida inerenti l’organizzazione del lavoro e la gestione del personale. L’obiettivo è far avvalere di questa nuova modalità almeno il 10% dei lavoratori pubblici nei prossimi tre anni.
Il lavoro agile, così definito dalla normativa, non è inteso come nuova tipologia contrattuale, ma come modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato in cui la prestazione lavorativa si svolge in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro, giornaliero e settimanale, derivanti dalla disciplina legislativa e dalla contrattazione collettiva. Nel lavoro agile, inoltre, si favorisce l’impiego di strumenti tecnologici e l’adozione di forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi.
La Pubblica amministrazione potrebbe cominciare così a introdurre logiche basate sulla valutazione dei risultati. La legge nel dettaglio prevede che l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile sia stipulato per iscritto «ai fini della regolarità amministrativa e della prova» e debba definire i tempi di riposo del lavoratore (cd. diritto alla disconnessione) nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche. Il dipendente ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni all’interno dell’azienda. È inoltre riconosciuto il diritto all’apprendimento e alla certificazione delle competenze.
Possiamo dire che lo sforzo normativo c’è stato, il pericolo ora è che tutto si riduca a una mera misura di welfare con cui consentire alle persone di lavorare saltuariamente da casa. Le motivazioni per cogliere l’impulso normativo e trasformarlo con senso di urgenza in una scossa culturale e organizzativa alla Pa sono rilevanti:
1)È un buon affare per i conti pubblici perché non solo aumenta la produttività, ma razionalizza le risorse immobiliari.
2) Introduce logiche di valutazione basate sui livelli di servizio piuttosto che sul presenzialismo.
3)Accresce l’attrattività del Pubblico Impiego verso i talenti anche femminili, non escludendo i dipendenti pubblici dalla possibilità di conciliare e integrare lavoro e vita privata.
4) A fronte dell’invecchiamento dei dipendenti della Pa, accresce le conoscenze digitali rallentando l’obsolescenza dei lavoratori.
Occorre accompagnare il cambiamento con interventi di affiancamento ai manager pubblici per supportarli nel ragionare per processi, identificare indicatori di prestazione e gestire e valutare i collaboratori per obiettivi. Si tratta di un cambiamento culturale fondamentale, in cui gioca un ruolo rilevante la formazione manageriale, ma anche la creazione di opportunità per la condivisione di buone pratiche tra diversi manager e Pa.
Alcune iniziative pilota nelle Pa locali mostrano risultati e benefici concreti, come quelle realizzate presso la Provincia Autonoma di Trento e le Città di Torino, Genova e Milano. Ci sono le prime sperimentazioni anche a livello centrale come nel caso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero Economia e Finanze. Si tratta di piccoli passi e il cammino è lungo: dalla Ricerca 2017 dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano emerge come solo il 5% delle amministrazioni pubbliche abbia ad oggi iniziative strutturate. Quasi la metà del campione (48%) dichiara interesse per una prossima introduzione, ma il 32% non ha interesse verso questo modello. La posta in palio è elevata: lo smart working è una opportunità di creare una Pa produttiva e intelligente, lavoratori pubblici motivati e una società giusta, sostenibile e inclusiva.
* Presidente Forum Pa
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