La sostenibilità sta diventando sempre più parte integrante e determinante delle strategie di molte aziende. Una presa di posizione netta nei confronti dell’impatto ambientale e sociale del proprio business implica, per un’impresa, allargare questa attenzione anche a tutti i partner della catena di fornitura. Ciò può avvenire in diverse forme. Può prefigurarsi innanzitutto come un fattore che caratterizza in modo distintivo l’offerta della focal company (generalmente la azienda “brand owner”) agli occhi del cliente, come ad esempio è il caso della svedese IKEA, che negli anni ha sviluppato iniziative per assicurare standard sostenibili (rispettosi dell’ambiente e delle condizioni di lavoro) tra i suoi fornitori, ma anche cercando di sviluppare ulteriormente, tramite iniziative congiunte, l’innovazione delle tecniche, nei metodi, nei materiali, in ottica, per esempio di minimizzazione dell’impatto ambientale.
Per molte aziende, le richieste ai fornitori si tramutano in standard ambientali e sociali più stringenti che, se non soddisfatti, possono portare a un piano di sviluppo nel breve-medio e lungo termine da concordare, o, nei casi più estremi, all’esclusione del fornitore, anche se queste decisioni possono comportare un innalzamento dei costi della supply chain. IKEA, negli anni, ha saputo controllare questo effetto, alla luce delle sinergie esistenti tra gli obiettivi di sostenibilità e quelli di efficienza, della trasparenza nella struttura dei costi dei fornitori e della presa di coscienza dell’espansione del mercato grazie alle opportunità aperte dalla sostenibilità.
Un’altra casistica che mostra come la sostenibilità sia integrata nella strategia di supply chain è invece offerta da quelle aziende che si propongono sul mercato con prodotti chiaramente identificabili da aspetti di sostenibilità. Si tratta per esempio di prodotti derivanti da materiale di riciclo, prodotti realizzati con materie prime alternative, meno scarse in natura e meno dannose per l’ambiente. Per queste aziende le scelte indotte dalla sostenibilità hanno un impatto ancora più profondo sulla filiera produttiva. In questi casi, le aziende decidono talvolta di interfacciarsi con mercati di fornitura meno stabili rispetto alle forniture che sono attive nelle filiere tradizionali.
Si pensi, per esempio, al mercato del PET bio-based, una plastica all’origine più sostenibile e derivante da fonti rinnovabili che sta prendendo piede nel mondo del packaging primario. Per questa relativamente nuova e più sostenibile tipologia di packaging primario, le aziende del mondo beverage si stanno interfacciando con nuovi fornitori in mercati più concentrati e frammentati, dove la carenza di input per rispondere a grandi volumi è un elemento di criticità.
Quando invece parliamo di prodotti realizzati a partire da input riciclati, nuovi stakeholder diventano attori chiave per la loro fornitura. Si pensi ai casi di due aziende, Novelis, produttore di fogli di alluminio riciclati per l’industria automotive e del beverage, e l’italiano Gruppo Saviola, leader nella produzione di pannelli in legno 100% riciclato post-consumo. Per la produzione dei fogli di alluminio riciclato Novelis, un ruolo chiave giocano le partnership con le municipalità, con le aziende che si occupano del riciclo dei rottami metallici e con le aziende clienti. Anche nel caso del Gruppo Saviola nuovi stakeholder come municipalità, enti pubblici e produttori di mobili, riuniti in un consorzio, rappresentano “nodi” fondamentali del network di riciclo.
A mutare in questi casi sono i “flussi portanti” della supply chain, nuovi attori per la fornitura della materia prima, ma anche nuove forme contrattuali con i clienti esistenti, come per esempio il buy-back di scarti atti al riciclo utilizzato da Novelis con i suoi clienti. Anche in questo le forniture possono diventare più incerte poiché demandate ad attori con cui le aziende non si relazionano abitualmente o possono essere soggette al rendimento della materia prima per la produzione di scarti da parte delle aziende clienti.
Il futuro ci dirà se chi sta compiendo i passi più rischiosi, modificando in maniera più radicale la supply chain, potrà goderne i frutti nel medio-lungo termine, facendosi promotore di un circolo virtuoso in grado di generare più domanda per standard più stringenti e per input “più sostenibili”, portando i mercati di fornitura ad essere più sicuri e stabili. La carenza strutturale di alcuni input in alcuni settori (si pensi per esempio al legname per l’arredamento) porta a pensare che non solo le soluzioni caratterizzate da un nuovo “assetto di flussi” circolari possano essere benefiche per preservare le risorse naturali, ma possano anche portare alla “scalata” della sostenibilità nella gerarchia dei fattori critici di successo per una supply chain, a dispetto di altre prestazioni operative (costo, livello di servizio) che ne hanno guidato i modelli degli ultimi decenni.
* Dean del MIP Politecnico di Milano Graduate School of Business
** Ricercatrice School of Management del Politecnico di Milano
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