Management

Lavoro manuale? Non è poi così difficile scegliere quello giusto

  • Abbonati
  • Accedi
obiettivo qualità

Lavoro manuale? Non è poi così difficile scegliere quello giusto

Negli ultimi anni stiamo osservando una riscoperta delle professioni e dei mestieri che prevedono lavoro manuale. Questo fenomeno sembrerebbe in contraddizione con l’idea di un mondo del lavoro in cui gli uomini progettano con le loro competenze e le macchine eseguono con la loro straordinaria precisione. Questa idea è figlia del Novecento e degli schemi della società industriale. In quel contesto esisteva una chiara distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Il primo, superiore al secondo in termini di prestigio, potere, remunerazione, significava studiare, pensare, prendere decisioni. Il secondo significava rompersi la schiena ripetendo in modo alienante sempre gli stessi gesti.

Il lavoro intellettuale era considerato lavoro intrinsecamente qualificato e intrinsecamente “libero”. Il lavoro manuale invece era tendenzialmente associato ai concetti di subordinazione ed esecuzione meccanica e ripetitiva, lavoro “alienante” secondo il vocabolario ideologico del tempo. Le attività manuali erano considerate intellettualmente dignitose solo quando era chiara la loro vocazione artistica. Sebbene nel corso del Novecento il confine tra lavoro intellettuale e lavoro manuale venisse sistematicamente varcato sia nei passaggi generazionali (l’avvocato o il top manager figlio dell’agricoltore) sia nelle storie individuali (il direttore del personale che aveva cominciato come operaio) la distinzione dei due universi restava una delle peculiarità di quel mondo del lavoro.

Questa percezione è ancora radicata, soprattutto nelle generazioni meno giovani. In molti si stupiscono quando scoprono che il figlio del medico di mestiere fa il decoratore. C’è chi vede i lavori manuali come lavori “di serie B” tout court, precari e mal pagati. C’è invece chi li vede come un’opportunità importante in un’epoca in cui non è facile trovare lavoro intellettuale di qualità. Se ne discute in tutte le famiglie: perché iscriversi ad un istituto professionale invece che al liceo? Perché mettere da parte la laurea per fare il restauratore o il cuoco?

Facciamo un po’ di ordine per rispondere a queste domande. Intanto la distinzione tradizionale tra lavoro intellettuale e lavoro manuale non esiste più. Ci sono lavori percepiti come “intellettuali” che sono, precari, malpagati e sostituibili dalla tecnologia (l’Italia è piena di superprofessionisti che hanno fior di titoli e poi nella quotidianità sono costretti a vivere di mansioni routinarie, compilative e di “copia-incolla”). Un elaboratore elettronico può ormai tenere la contabilità di una Srl, redigere un report giornalistico, costruire un parere legale. Il lavoro intellettuale è finito dentro a un pc e il pc ha automatizzato e reso superflui tanti sforzi professionali che un tempo ingaggiavano il cervello, la memoria, la cultura, la creatività.

“Nessuna intelligenza artificiale è in grado di impadronirsi di capacità umane primordiali, come le competenze motorie e di percezione, come la capacità di riconoscere e gestire eccezioni ed emergenze”

Paradosso di Moravec 

D’altro canto ci sono tanti lavori manuali che nessun robot può imitare e che si sono guadagnati un riconoscimento economico, di prestigio e di status (lo chef fino a 10 anni fa era solo un cuoco). È il cosiddetto “Paradosso di Moravec”: nessuna intelligenza artificiale è in grado di impadronirsi di capacità umane primordiali, come le competenze motorie e di percezione, come la capacità di riconoscere e gestire eccezioni ed emergenze. Provate a far curare un roseto da un robot. Inoltre i consumatori del terzo millennio, consapevoli del dominio dell’automazione e della robotica, riconoscono un valore distintivo a ciò che è fatto a mano, a ciò che richiede il “tocco sensibile” dell’artigiano, a ciò che la mano dell’uomo può realizzare meglio di qualsiasi macchina. In definitiva l’equazione per cui il lavoro intellettuale è un lavoro buono e il lavoro manuale è un lavoro “di serie B” è venuta meno definitivamente.

A un ragazzo che sta valutando la possibilità di scegliere un indirizzo scolastico/formativo professionale o a un “meno giovane” che sta decidendo di mettersi in proprio con un’attività artigianale o di accettare un’offerta di “lavoro manuale” suggerisco di chiedersi: «Mi sto indirizzando verso un lavoro manuale “buono”?». Il tema centrale infatti è distinguere tra lavoro manuale “buono” e lavoro manuale precario e mal pagato.

Il lavoro manuale è “buono” se ha quattro caratteristiche:
1) Ingaggia la destrezza, la capacità di manipolazione, la sensibilità del tocco.
Parliamo di una manualità sofisticata, serva del cervello e dell’intuito. È la manualità di chi restaura un violino o estrae dalla stoffa abiti su misura, non certo quella di chi trasporta mobili sulle proprie spalle o passa della merce su un lettore ottico. Il discrimine sta nel tasso di sostituibilità. Se posso essere sostituito facilmente da un robot o da una persona senza competenze allora non ho un buon lavoro manuale. Se invece ciò che faccio non può essere replicato da una macchina o da una persona senza competenze allora posso dire di avere un lavoro manuale “buono”. La differenza sta nell’incredibile potenza della coordinazione mano-cervello.

2) Ingaggia la creatività.
Potare una siepe non ingaggia la creatività, creare la composizione floreale di un’aiuola ingaggia la creatività. Dove c’è spazio per “giocarsi” creatività, ingegno, visione, personalità, non solo c’è spazio per il nostro “tocco” insostituibile, ma c’è quel “valore aggiunto” che determina riconoscimento economico e intellettuale.

3) Ingaggia le capacità relazionali.
Un orafo ha necessità di dialogare con il cliente e ascoltarlo, un confezionatore di panini al Mcdonald’s no. Il rapporto con il cliente ci mette nelle condizioni di esaltare le nostre soft skills (comunicazione, ascolto, problem solving, negoziazione) costruendo soluzioni personalizzate, costruendo valore per gli altri. È qui che si trova la radice profonda di un lavoro di qualità.

4) Ingaggia le capacità decisionali.
Un operaio alla catena di montaggio nell’arco della sua giornata tipo non è chiamato a prendere molte decisioni. Un lavoro di manipolazione creativa e sofisticata invece richiede decisioni continue. Un disegnatore guarda la sua creatura mentre “gli esce dalle mani”, la studia, la valuta, decide di riprovare, cestinare, modificare, consapevole che il risultato finale dipenderà dalla somma delle sue scelte.

In definitiva la distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale è venuta meno perché ciò che rende un lavoro manuale un buon lavoro è esattamente ciò che rende un lavoro intellettuale un lavoro di qualità: la possibilità di creare soluzioni, di relazionarsi con gli altri, di prendere decisioni.

* Managing Partner della società di consulenza e formazione Sparring

© Riproduzione riservata