Quello che i francesi chiamano radio moquette e che si potrebbe tradurre, in italiano, con gossip sotterraneo, è positivo o negativo all’interno di una società, soprattutto quando a farlo è il capo? Mi è capitato alcune volte, nelle diverse aziende in cui ho lavorato, di ricevere una telefonata del mio capo che mi raccontava, in via del tutto confidenziale, di aver saputo da qualcuno non meglio identificato che uno dei miei collaboratori non si trovava bene o aveva qualche problema. Una telefonata di questo tipo ha sempre un doppio fine (nessuno dei quali è positivo): da un lato sottolineare che io non mi fossi accorta di questo malessere e, dall’altro, evidenziare il suo potere (ho più informazioni di te sul tuo team). Altre volte, invece, mi è capitato di venire a sapere di chiacchiere confidenziali tra colleghi durante le quali qualcuno della mia squadra si era aperto a commenti negativi o aveva evidenziato la sua voglia di cambiare ruolo, funzione o ufficio.
All’inizio, di fronte a queste situazioni, mi sentivo in colpa, quasi inadeguata al ruolo di capo. Provavo un senso di arrabbiatura per quello che mi era sfuggito e un po' di delusione per non essere riuscita a gestire, al meglio, le persone che tutti i giorni lavoravano con me. Come avevo fatto a non accorgermi di questo malessere nonostante tutto il tempo passato nello stesso ufficio a lavorare insieme? Ho sempre passato molto tempo con le risorse, dalle più junior alle più senior. Certo, non sono mai stata, per mia scelta, iper presente fuori ufficio come ad esempio per vedere tutte le partite di calcio insieme o partecipare a tutte le serate organizzate tra di loro, ma ho sempre pensato di essere piuttosto presente. Però, proprio durante quelle serate, si manifestava il malessere di qualcuno che mi veniva poi riferito.
Quando avevo meno esperienza, stavo in attesa e lasciavo che il mio capo mi aiutasse a risolvere il problema. Davo sempre per scontato che quanto mi veniva detto fosse vero. Con il tempo, però, ho imparato ad approfondire e a chiedere approfondimenti. Banalmente, senza il nome della fonte, l’informazione ricevuta non aveva alcun valore, almeno per me. Non dimentichiamo, infatti, che nel rapporto con il proprio responsabile - indipendentemente dal ruolo ricoperto - la trasparenza deve essere un caposaldo.
Una volta resa nota la fonte, poi, è importante capire quanto sia attendibile. Come ha avuto quell’informazione? Per via diretta o indiretta? È stata una chiacchierata spontanea o “casualmente” provocata? Questi elementi, anche se sembrano di poco conto, cambiano non poco la valutazione. Una cosa, ad esempio, è dire spontaneamente «voglio cambiare ruolo/ufficio perché ho problemi a relazionarmi con X», un’altra - invece - è essere sollecitati a dire «mi piacerebbe, in futuro, lavorare anche nell’ufficio Y e fare un’esperienza in un’altra città».
E, volendo riassumere entrambe le situazioni appena descritte si potrebbero tradurre con «quella persona vuole cambiare ruolo/ufficio/città». Io penso che la chiave di tutto sia la fiducia, per il capo da parte dei collaboratori e per i collaboratori da parte del capo. Questo problema si pone soprattutto all’interno del tema legato alla comunicazione manageriale. L’unica domanda da porsi è: «Come il responsabile gestisce l’informazione ricevuta e come la fa circolare?”. Bisogna essere prudenti perché il gossip può avere un impatto significativo sulle performance, demotivare i collaboratori e alimentare frustrazione e arrabbiature che non fanno altro che rovinare il clima.
* Managing Director di EasyHunters
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