Management

Per aumentare la produttività scrivi il libretto delle istruzioni del tuo…

  • Abbonati
  • Accedi
strategie di crescita

Per aumentare la produttività scrivi il libretto delle istruzioni del tuo lavoro

Nella morsa della competizione globale le organizzazioni del terzo millennio sono ossessionate dalla produttività del lavoro. Come abbiamo visto nel mio precedente articolo la produttività del lavoro dipende non solo da fattori “macro”, ma anche da fattori “micro”, vale a dire i nostri comportamenti, l’utilizzo che facciamo del tempo nella quotidianità.

Per sviluppare la nostra produttività esiste una ricetta semplice e concreta che ciascuno di noi può adottare, utile per tutti, a prescindere da età, ambito professionale, ruolo, reddito: scrivere il libretto delle istruzioni per fare ciò che facciamo, costruire il manuale della nostra attività. Nella mia esperienza di consulente ho l’opportunità di confrontarmi con i “mestieri” più disparati: manager, operai, imprenditori, venditori, sportivi, liberi professionisti. Senza distinzioni la maggioranza di loro ha difficoltà a raccontare in modo analitico come svolge la propria attività. Cadono con poche eccezioni nella trappola del cuoco che dice «sale quanto basta», del medico che dice «decido secondo le sensazioni che mi derivano dall'esperienza», dell’attore che dice «non saprei come spiegarlo, lo faccio e basta». Espressioni vaghe che evocano improvvisazione e scarsa consapevolezza di sè.

Eppure imparare a scrivere bene il libretto delle istruzioni del nostro lavoro sarebbe fondamentale per sviluppare la nostra produttività per almeno 5 motivi:

1) Quando mettiamo nero su bianco il nostro know how riusciamo a vedere il nostro lavoro in tutte le sue articolazioni e complessità. Diventa allora più facile comprendere quali sono le azioni con cui produciamo maggior valore aggiunto, quelle per cui è più difficile essere sostituiti, quelle su cui vale la pena focalizzarsi e specializzarsi, quelle che poniamo in essere solo per placare alcune emozioni (tipicamente l’ansia), quelle che conviene provare a delegare agli altri o alla tecnologia.

2) Scrivere il libretto delle istruzioni del nostro lavoro costituisce il presupposto necessario di ogni processo di delega. La nostra quotidianità è piena di ripetizioni meccaniche, di routine. Se non le definiamo analiticamente non riusciamo a riconoscerle e dunque non riusciamo a liberarcene, affidandole ai collaboratori o a software/robot. Di più, realizzando il manuale della nostra attività riusciamo a renderci conto che anche attività non routinarie (tipicamente quelle relazionali come comunicare efficacemente, vendere, negoziare, ecc.) possono essere mappate, fotografate e dunque condivise e trasmesse. Così facendo possiamo finalmente smettere di trovarci in situazioni del tipo «se poi il cliente chiama per lamentarsi passamelo che quelle sono situazioni che posso gestire solo io».

3) Scrivere il libretto delle istruzioni del nostro lavoro è il miglior modo possibile per guardarsi dall’esterno, per osservare i nostri sforzi da una prospettiva neutra, esattamente come se avessimo una telecamera puntata su di noi che «ci dice la verità» spietatamente sulla nostra performance. In questo modo possiamo facilmente prendere consapevolezza degli errori, delle inefficienze, o anche solo di ciò che ripetiamo passivamente, non perché sia utile o funzionale, ma per semplice inerzia, per restare nella nostra zona di comfort. Analizzare la nostra performance su un foglio bianco (o su uno schermo) è dunque l’unica via per mettersi realmente in discussione. Da qui nascono tutti i processi creativi, le “illuminazioni”, le intuizioni che ci portano a lavorare con più soddisfazione e più profitto: «E se cambiassi questo modo di fare? E se invertissi l’ordine con cui svolgo queste due attività?».

4) Quando scriviamo ciò che facciamo finiamo con il creare un linguaggio e un sistema di regole. In questo modo ci diamo l’opportunità di offrire ai nostri collaboratori dei feedback oggettivi e non giudicanti, con la conseguenza di veicolare spunti di miglioramento senza suscitare frustrazione e risentimento: dal «sei stato troppo impreciso» al «potevi approfondire le 4 argomentazioni descritte nel manuale»; dal «sei stato troppo frettoloso» al «in situazioni simili abbiamo previsto di soffermarsi sulla verifica di questi tre aspetti».

5) Quando scriviamo il libretto delle istruzioni della nostra attività creiamo le condizioni per individuare degli indicatori di performance che ci possono aiutare a misurare la qualità del nostro lavoro. È vero che la qualità del nostro lavoro può essere valutata solo dal risultato finale, ma è altrettanto vero che ci possono essere degli indicatori che ci avvisano che è ora di cambiare qualcosa prima che sia troppo tardi. Se dal mio manuale emerge che ogni giorno gestisco mediamente 10 telefonate di 3 minuti ciascuna, posso trasformare questo dato in un criterio di valutazione e monitoraggio. Così quando mi accorgerò di aver fatto delle telefonate lunghe più di cinque minuti avrò un segnale di alert su cui riflettere criticamente e nel caso intervenire.

Ho passato in rassegna i motivi per cui vale la pena scrivere il libretto delle istruzioni della nostra attività, ma non ho precisato come impostarlo concretamente. La prima avvertenza è quella di non utilizzare un criterio cronologico/diaristico: «Arrivo in ufficio alle 9, controllo per dieci minuti la posta elettronica, scrivo una mail al capo…ecc.», ma di guardare al nostro lavoro come ad un processo di fabbricazione di un prodotto o di un servizio. Si parte dunque dall’individuazione del «prodotto che sforniamo» per poi andare a descrivere tutti le fasi di preparazione del prodotto e tutte le attività che poniamo in essere per “sfornarlo”.

La seconda avvertenza è quella di non dare nulla per scontato e di scrivere come fossimo dei programmatori, impegnati a impartire istruzioni al cervello potente ma rigido di un software: «Nella fase 4 possono succedere 3 eventi: se succede x ci si comporrà così, se succede y ci si comporrà così, se succede z ci si comporrà così».

* Managing Partner della società di consulenza e formazione Sparring

© Riproduzione riservata