Esperti in tecnologie, carenti nelle competenze trasversali che riguardano le capacità comportamentali e relazionali e una minaccia per i professionisti senior. Il “profilo” dei nativi digitali che emerge da uno studio indipendente realizzato da Dimensional Research per conto di Dell Technologies è un’immagine in chiaroscuro, brillante per alcuni aspetti e densa di ombre per altri. L’indagine in questione, svolta tra agosto e settembre su un campione di 12mila studenti di scuola media superiore e universitari in 17 Paesi ha rivelato indicatori molto interessanti circa l’attitudine della cosiddetta «Generazione Z» rispetto alle professioni del futuro.
L’impatto che i giovani nati dopo il 1996 eserciteranno sul mondo del lavoro si concretizzerà, innanzitutto, attraverso una mentalità che spingerà ulteriormente le aziende verso il digitale, ampliando potenzialmente il divario che separa le diverse generazioni presenti sui luoghi di lavoro. La conoscenza approfondita delle potenzialità che può avere la tecnologia per trasformare il modo in cui si svolge la propria professione e si vive è sicuramente l’elemento caratterizzante dei post-millennial: il 98% di loro ha utilizzato strumenti digitali nel proprio percorso di formazione, l'80% aspira a lavorare con tecnologie avanzate e un’identica percentuale si dice convinto che la tecnologia e l’automazione potranno creare un ambiente di lavoro più equo, evitando preconcetti e discriminazioni.
Fa riflettere, inoltre, il fatto che nove esponenti della Gen Z su dieci (il 91% per la precisione) attribuisca all’offerta di tecnologia in sede di proposta di impiego un peso decisivo a fini della scelta, mentre oltre un terzo dell’universo censito punta a una carriera in ambito It, nella cybersecurity o nel campo della ricerca e sviluppo nel settore tech. Non è completamente orientato al digitale, comunque, l’approccio al lavoro della Gen Z. Il 75% si aspetta infatti di imparare il mestiere da colleghi o altre persone (e non online) e più della metà preferisce lavorare in ufficio anziché da casa e come parte di un team piuttosto che in modo indipendente (voci indicate rispettivamente dal 58% e dal 53% degli studenti oggetto di indagine).
Chiamati a rispondere sul tema del rapporto uomo-macchina, il 51% dei nativi digitali è convinto che questi due “soggetti” lavoreranno insieme in team integrati, mentre il 38% considera i robot come strumenti da utilizzare solo quando necessari. Se la fiducia nelle proprie capacità tecniche non è assolutamente in discussione (il 73% del campione le valuta come buone o eccellenti), molto diverso è la convinzione esibita rispetto alle soft skill. Solamente la metà circa (il 57%) del campione, infatti, valuta buona o eccellente la propria formazione in termini di preparazione alla carriera mentre il 52% dichiara di non sentirsi sicuro circa le competenze non tecnologiche che i datori di lavoro desiderano. E tali dubbi si riflettono su una generalizzata preoccupazione, comune al 94% dei neolaureati intervistati, circa le future possibilità di impiego.
Un quadro a luci e ombre, come si diceva, confermato da un dato che emerge da un’altra recente ricerca a firma di Dell Technologies, secondo cui i professionisti più senior si sentono minacciati dai nativi digitali, cui potrebbe andare in futuro la maggior parte dei ruoli di leadership in azienda, mentre la maggior parte dei business leader evidenzia le difficoltà che le rispettive aziende faranno ad offrire pari opportunità di impiego a generazioni differenti di lavoratori. Le imprese, secondo gli esperti, sono per questo chiamate a una sfida finora mai affrontata, e cioè quella di supportare i propri dipendenti nel trovare punti di contatto finalizzati alla creazione di una cultura “digital-first”.
Un ambiente collaborativo, in altre parole, in cui team interfunzionali composti da persone con competenze complementari possano favorire lo scambio delle conoscenze e un nuovo approccio al problem solving. Come raggiungere questo obiettivo? I passi da compiere, sulla carta, sono chiari: da una parte stage, programmi di rotazione e altre iniziative per lo sviluppo delle carriere sono gli strumenti che possano facilitare i giovani professionisti a fare esperienza e a sviluppare soft skill direttamente sul posto di lavoro; dall’altra programmi di tutoraggio e mentorship inversi, guidati dalla Gen Z, volti ad aumentare le competenze digitali presenti nell’intera organizzazione.
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