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Diversità e inclusione sono «asset» fondamentali in azienda

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strategie e lavoro

Diversità e inclusione sono «asset» fondamentali in azienda

La consapevolezza della primaria importanza di diversità e inclusione sta crescendo in modo evidente nei luoghi di lavoro. L’assunto arriva da una recente ricerca condotta su scala internazionale da Lenovo (Cina, Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Brasile i Paesi coinvolti) secondo cui la tecnologia rappresenta oggi un fattore positivo nella diffusione e comprensione di queste tematiche, considerate dalla maggioranza del campione intervistato come un’opportunità per costruire una comunità (dentro e fuori l’organizzazione) e non più un risultato da ottenere.

Sintomatico, in proposito, il commento rilasciato da Yolanda Conyers, Chief Diversity Officer di Lenovo, azienda che si è impegnata a conseguire l’obiettivo di avere almeno il 20% di donne nel proprio top management a livello globale entro il 2020. «Diversità e inclusione - ha detto la manager - consentono di fare nostre le idee migliori e più innovative, oltre a consentirci di comprendere meglio le esigenze dei nostri clienti».

Sul tema della diversità e dell’inclusione si è espresso anche l’ultimo rapporto Randstad Workmonitor, da cui si evince la “classica” dicotomia italiana. Siamo infatti primi in Europa quanto a desiderio di lavorare solamente in un’azienda con un solido programma di responsabilità sociale (lo afferma l’87% degli addetti tricolori, rispetto al 79% degli inglesi e al 78% dei francesi) e oltre la metà dei circa 400 italiani di età compresa fra 18 e 67 anni oggetto di indagine (il 57% per la precisione) ritiene importante, quando cerca occupazione, che un’impresa partecipi a iniziative filantropiche.

Il 75% dei lavoratori si dedicherebbe inoltre al volontariato se potesse contare su permessi retribuiti ma solo il 29% delle aziende incoraggia i dipendenti a farlo in modo non retribuito al di fuori dell'orario lavorativo. E solo il 50% delle nostre organizzazioni, questo il dato forse più importante (e preoccupante), valorizza diversità e inclusione.

Ancora minoritaria, inoltre, è la percentuale di aziende che concede permessi di lavoro retribuiti ai dipendenti per queste attività: poco più di una su quattro (il 26%) lascia che sia il dipendente a scegliere la causa benefica o l’organizzazione a cui aderire, mentre in meno di un caso su cinque (18%) se ne occupa direttamente l'impresa. «Dalla ricerca - questa l’osservazione di Marco Ceresa, Amministratore delegato di Randstad Italia - emerge un forte divario di attenzione e sensibilità all’inclusione fra i lavoratori e le aziende. Sebbene la presenza di un programma di responsabilità sociale ben strutturato sia considerato un elemento che rende fortemente attrattive un'organizzazione, soltanto la Francia si mostra più in ritardo di noi su questo fronte, segno che le nostre imprese devono investire maggiormente in piani di Corporate social responsability per aumentare la loro capacità di attrarre e trattenere i migliori talenti disponibili sul mercato».

C’è quindi molto da fare su questi temi anche se i presupposti sembrano non mancare. Il rapporto evidenzia infatti come i due terzi dei lavoratori italiani confermino l’impegno del proprio datore di lavoro affinché i dipendenti riflettano la diversity presente nel mercato del lavoro locale e nazionale, con una lieve differenza di percezione fra generi (63% degli uomini e 68% delle donne) e un po’ più marcata fra addetti giovani e dipendenti senior (le percentuali sono rispettivamente del 71% e del 60%).

Numeri non del tutto disprezzabili, quelli appena citati, a cui se ne aggiungono anche altri che rimarcano la buona propensione dei lavoratori della Penisola verso i temi della diversità e dell'inclusività all'interno della struttura aziendale. Numeri, per contro, che sono ancora distanti dal modello di riferimento più positivo, rappresentato dalla Danimarca. Nel paese scandinavo, infatti, il 43% degli addetti intervistati svolge attività di volontariato al di fuori dell’orario lavorativo, il 70% delle aziende sostiene una buona causa, il 48% offre permessi retribuiti ai propri dipendenti per attività di volontariato scelte dai dipendenti ed il 43% li garantisce per attività scelte dall’azienda stessa.

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