Un paio di anni fa mi è capitata una cosa curiosa: mi trovavo presso un cliente per un’attività di formazione all’interno di un hotel, dalle cui finestre si intravedeva l’edificio che tuttora ospita quello che a suo tempo era stato il mio liceo, la mia scuola. Non ho potuto fare a meno di lasciarmi travolgere da un po’ di nostalgia ma, soprattutto, dalla visione, in un batter d’occhio, del percorso che mi aveva portato dal sedere nei banchi di scuola all’essere ora investito della responsabilità della formazione (professionale, sulle cosiddette soft skills) di altre persone.
La «deriva efficientista» di questa epoca è innegabile, come innegabili sono i vantaggi che ne derivano: ci prepariamo caffè espresso direttamente nella cucina di casa, leggiamo i quotidiani sul nostro tablet, acquistiamo biglietti di treni e aerei dal nostro smartphone, ci affidiamo all’e-commerce per libri, elettrodomestici, vestiti…e non ci siamo spostati di un solo centimetro (abbiamo tutt’al più alzato il braccio per prendere la tazza dalla dispensa sopra la nostra testa!).
A quale “costo”? Senza avventurarsi in disquisizioni catastrofiste (della serie: “dove andremo a finire…”), più romanticamente penso alla parola che non scambieremo con l’edicolante, all’espressione “il solito?” che non sentiremo dal barista, ai poster d’agenzia raffiguranti luoghi esotici o ai camerini che non vedremo. Concordo, sono aspetti per certi versi trascurabili, ma mi chiedo se altrettanto trascurabili siano i “costi” da sostenere rispetto alla deriva efficientista che in taluni casi sta riguardando anche la formazione aziendale che sempre più spesso viene sostituita dalla formazione a distanza.A cosa si rinuncia?
Secondo me, ad almeno 4 cose:
1. Innanzitutto, a un momento di scambio e confronto tra i partecipanti in aula; potrà sembrare retorico, ma uno dei feedback più frequenti che i partecipanti non mancano praticamente mai di segnalare al
termine delle giornate di formazione è il loro apprezzamento per l’opportunità di scambio, confronto e reciproca conoscenza.
2. Alla possibilità di ricorrere a tutti e tre i canali della comunicazione ovvero le parole, la voce e la gestualità del corpo/l’espressione del volto. «Le nuove tecnologie tendono ad azzerare la componente non verbale del linguaggio, che è molto più potente nel veicolare emozioni e, quindi, a generare un vuoto comunicativo che il cervello è costretto a riempire servendosi di interpretazioni», così afferma Pietro Trabucchi nel suo ultimo libro “Opus”, quando si riferisce all’importanza del governo della comunicazione nel percorso, difficilissimo, della motivazione delle persone. Anche nella formazione a distanza si rinuncia alla dimensione sinestetica delle relazioni; in altri termini non possiamo ricorrere al pieno utilizzo di tutti i sensi per comunicare con gli altri.
3. A un contesto che, se opportunamente governato, può favorire l'apprendimento delle persone che lo abitano e lo frequentano per quella giornata. Achille Castiglioni, illustre architetto e progettista italiano del secolo scorso, parlava della «creazione di oggetti che ispirano e generano nuovi modelli di comportamento». Lui lo diceva pensando al mondo del design e dell’architettura. Io penso all’aula come ad un luogo fisico in cui esercitazioni, dibattiti, confronti, role play, interazioni, immagini, suoni e video possono, sempre a patto di essere opportunamente e non troppo dichiaratamente gestiti, ispirare e generare suggestioni, nuove prospettive e, perché no, nuovi comportamenti, ovvero le nostre azioni e parole quotidiane.
4. Alla presenza di una persona (il “formatore” o “docente” o “facilitatore”, tutte approssimazioni del senso di un ruolo cruciale) che, con mestiere ma soprattutto sincera e spassionata dedizione governi il confronto, le relazioni, il contesto. Non meno importante è il sapere di cui questa persona si fa portatrice, a patto di trasferirlo non «per travaso passivo da un bicchiere più pieno a uno più vuoto perché il modello sul quale si fonda (l’apprendimento) non è mai quello di uno vuoto da riempire quanto di un vuoto da aprire». Così Massimo Recalcati, noto psicanalista e saggista, ricorda nel suo libro «L’ora di lezione» riferendosi all’episodio di Socrate (il maestro) e Agatone (l’allievo).
Tornando a due anni fa, a un certo punto ho riportato lo sguardo dalle mura bianche della mia scuola e dall’immagine di me seduto nei banchi ai volti dei partecipanti alla giornata di formazione sotto la mia responsabilità (a valle di questa riflessione, ancora più onerosa e onorevole). Responsablità che era quella di rendere favorevole al confronto e alla relazione un contesto abitato da persone da non vedere come teste da riempire, ma come menti da aprire, con umile e profonda curiosità, verso il nuovo, il diverso, il possibile.
* Senior Consultant Newton S.p.A.
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