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I «contaminati», novelli Leonardo del terzo millennio

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sbagliando si impara

I «contaminati», novelli Leonardo del terzo millennio

“Contaminare” deriva dal verbo latino tangere, “toccare”. In senso originario, il “contaminato” è colui che si pone a contatto con qualcosa, che si mescola con elementi eterogenei. Traslando questa parola affascinante nel mondo del lavoro, si può tratteggiare una tipologia di imprenditori, manager e professionisti che posseggono o sviluppano caratteristiche fortemente in linea con il business dei nostri giorni.

Un sinonimo è interdisciplinare: individui che si muovono tra discipline diverse. Un atteggiamento da sempre utile, ma un tempo il talento interdisciplinare era l’eccezione, non la regola: non erano molti i Leonardo Da Vinci che mescolavano i saperi tra arte e ingegneria, producendo innovazione in entrambi i campi, o gli Adriano Olivetti che promuovevano una cultura d’impresa che connetteva competenze tecniche operaie e artigianali con il design e la letteratura. La situazione è cambiata con il proliferare del digitale, l’agente contaminante per eccellenza della nostra epoca.

Negli ultimi decenni, l’interdisciplinarietà e la flessibilità nel mondo professionale sono state analizzate e ribattezzate in modi differenti: citiamo i professionisti «a forma di t» (insieme generalisti e specialisti) di David Guest, gli «Uomini Rinascimentali» capaci di produrre idee innovative “intersezionali” descritte da Frans Johansson, le persone capaci di diventare «la Startup di se stessi» divulgate dal fondatore di LinkedIn, Reid Hoffman. Non sono mancate autorevoli voci allarmistiche: già nel 1998 il sociologo Richard Sennett diede alle stampe il saggio «L’Uomo Flessibile», indicato come «un collage di frammenti sottoposti a un incessante divenire, sempre aperto a nuove esperienze», ma che avrebbero condotto a «una vita alla deriva, lontana dalla padronanza degli eventi».

Un approccio diverso sulla questione arriva da Emilie Wapnick, career coach, artista e blogger canadese, che il 2 ottobre 2015 ha presentato la Ted Conference Why some of us don't have one true calling, ideando il concetto di “multipotenzialità” e riscontrando un successo oltre ogni previsione. Secondo Emilie, la cultura dell’unica vera vocazione è stata ammantata nel tempo da un seducente romanticismo, che suggerisce di diventare quell’unica cosa che devi essere nella vita, di trasformarsi nel proprio destino. Ma lei sentiva di non avere un unico destino, e arriva a autodefinirsi appunto una multipotenziale, ovvero una persona che vuole svilupparsi a cavallo tra ambiti diversi.

È possibile introdurre alcune capacità peculiari dei contaminati:
1. Agile Learning: apprendono e assorbono rapidamente nuovi concetti. Questo perché sono abituati a sentirsi principianti in nuove discipline, non si scoraggiano e rimangono umili: non pensano mai di «essere già imparati». Inoltre, affrontando a mano a mano nuove conoscenze e competenze, devono ripartire da zero sempre di meno, perché molte tecniche si travasano da una disciplina all’altra.
2. Complex Problem Solving: maggior predisposizione nel prendere decisioni in situazioni complesse, ovvero che non hanno soluzioni certe a cui fare affidamento, ma che cambiano al cambiare del contesto. Per gestire la complessità è necessario possedere un’ampia varietà di scelte possibili e riuscire a osservare il contesto da diversi punti di vista. Abituati a muoversi tra ambienti, gruppi di lavoro e, spesso, luoghi e culture diverse, i contaminati sono avvantaggiati.
3. Creative Hacking: maggiore spazio creativo a disposizione. Se la creatività significa incrociare stimoli da ambienti diversi facendo nascere qualcosa di nuovo, per un contaminato è più facile trovare vie d’uscita creative, perché ha più luoghi da cui attingere.
4. Link Generation: collegano le persone e traducono i saperi. Fanno da ponte tra network di professionisti che altrimenti non entrerebbero in contatto e facilitano la gestione di team interdisciplinari, traducendo linguaggi tra specialisti con competenze differenti.
5. Sincrofrenia: sviluppano un rapporto flessibile con la gestione del tempo (dal greco: sincro «che va a tempo» e phren «mente»). I contaminati sono in grado di collegare la velocità nell’affrontare un compito alla situazione: più rapidi quando serve tempismo, più lenti quando bisogna riflettere e approfondire. Ciò non significa che flirtano con il fantomatico multitasking tentando di fare più cose insieme, ma che sanno imporre ritmi diversi a lavori diversi.

La zona di comfort degli immigrati digitali è la carta (il che ha portato a parlare di «nativi cartacei»), mentre la zona di comfort dei nativi digitali è lo schermo. La zona di comfort dei contaminati è il link tra i due: non si muovono in modo lineare ma, se necessario, sanno intercettare il caro e vecchio approfondimento analogico.

* Partner e Digital Strategist, Newton S.p.A.

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