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Per motivare un team la carota funziona molto meglio del bastone

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intervista a Chester Elton

Per motivare un team la carota funziona molto meglio del bastone

«Per chi posso fare il tifo, nella mia squadra di lavoro?». È da questa domanda che ogni team leader deve partire, se vuole che la sua squadra vinca. Chester Elton - consulente di esperienza ventennale dal temperamento vivace ed empatico, autore con Adrian Gostick di «Vince il migliore» (Franco Angeli) - lo ha imparato da uno che di squadre se ne intende: Scott O’Neil, attuale Ceo dei Philadelphia 76ers, tre volte campioni del basket Nba. «Se nella mia squadra c’è qualcuno per cui non posso tifare - dice Elton, in questi giorni in viaggio in Italia - devo riconoscere che c’è un problema, capire qual è e risolverlo».

Già, ma risolverlo come, con la carota o con il bastone? La domanda è obbligata, visto che Elton è famoso come autore, sempre in coppia con Gostick, del bestseller «The Carrot Principle» e altri fortunati libri, che sono stati tradotti in 30 lingue e hanno venduto oltre un milione mezzo di copie. La società di consulenza di cui sono fondatori, «The Culture Works», è specializzata nella motivazione e del cambiamento culturale in azienda e ha tra i suo clienti aziende leader come Pepsi, American Express, Madison Square Garden, Avis Budget Group, Texas Roadhouse.

Perché un team sia efficace è evidentemente importante allineare gli obiettivi del team con quelli degli individui. Che cosa si può fare quando divergono? Quando il team punta a massimizzare la produttività, ipotizziamo, e il singolo punta a massimizzare il proprio tempo libero?
In una squadra è fondamentale considerare e capire ogni suo singolo membro. Un buon leader è dotato di “soft skills”, di competenze relazionali, e deve trovare quindi del tempo per parlare con ciascuno, anche dei problemi personali o familiari. Un confronto empatico, quindi, che però non esclude una “conversazione dura”, quando necessario. Perché in gioco c’è il rischio di essere costretti a lavorare con un team disfunzionale, in cui le responsabilità del singolo ricadono su tutta la squadra e sul suo leader. Scott O’Neil è uno dei manager al tempo stesso più duri e più dotati di soft skills che io abbia mai conosciuto.

Perché i fattori soft, come capacità comunicativa e relazionale, creatività, empatia, gestione dello stress, sono così importanti?
Nella nostra esperienza, supportata da ricerche condotte su oltre 850mila lavoratori, abbiamo riscontrato che in ogni caso di successo il leader era dotato di soft skills straordinarie, oltre a quelle “hard” necessarie, ovviamente. Sono leader che danno valore alle persone, conoscono le loro storie, sono capaci di motivarle. In una parola, si “prendono cura” dei loro collaboratori. Nonostante questa evidenza empirica, le soft skills sono invece poco praticate da molti leaders.

Come mai?
Per due motivi. Il primo è una mancanza di fiducia in sé stessi e negli altri, il leader teme che se si mostra “morbido” i suoi collaboratori se ne approfitteranno. Ma competenze “morbide” non significa leader deboli. Il secondo motivo è il timore dei leader di apparire vulnerabili, di sembrare stupidi.

Comprendere le generazioni, gestire le persone una per una, accelerare la produttività dei nuovi arrivati, dissenso salutare, mai dimenticare i clienti: tra queste «Cinque discipline del team leader» ce n’è una più importante delle altre?
Dipende dal contesto e dal manager. Negli Usa è molto importante comprendere le differenze tra le diverse generazioni che si trovano a lavorare insieme. Una delle più importanti è comunque sempre la capacità di mettere tutto in discussione, di ispirare l’innovazione attraverso il “dissenso salutare”. Il team deve lavorare in un clima di “sicurezza emotiva” dove tutti sanno che dietro le critiche c’è una sfida alle idee, che vengono messe salutarmente in discussione, non alle persone. Una ricerca dell’Università della California che citiamo nel nostro precedente libro «What motivates me?» dimostra che c’è una forte correlazione tra la felicità nel lavoro e la felicità nella vita.

Nel libro si parla di sviluppare team collaborativi, produttivi e creativi. Che cosa è importante per la creatività in team? Considerando anche i «101 modi per ispirare il vostro team» che avete tratto da esperienze reali con dirigenti d’azienda.
Tra le “cinque discipline” direi proprio il “dissenso salutare”. E tra i “101 modi” forse il numero 15, “provocare una crisi”! Simulata, per spingere i dipendenti a pensare diversamente. Per esempio immaginando uno spin off.

Lei e Gostick siete famosi per «The Carrot Principle», secondo cui le ricompense sono più efficaci delle punizioni. Ma non c’è il rischio che alla fine i leader “duri” siano più rispettati? Consideri che qui in Italia siamo nella patria del “Principe”, che Machiavelli esortava a esibire alcune virtù salvo poi usare il pugno di ferro…
I manager più efficaci che ho incontrato avevano un senso del valore delle persone e una connessione emotiva con loro. E le ricerche dimostrano che tutti ci impegniamo di più quando abbiamo un senso di valore personale.

Se dovesse sintetizzare il segreto del team leader efficace?
La responsabilità personale è fondamentale ma il leader efficace deve rendere i suoi collaboratori responsabili “in a caring way”, prendendosi cura di loro. Poi vorrei ricordare la “regola del tre”: primo, rispettare i più alti standard; secondo, niente scuse; terzo, facciamo il tifo l’uno per l'altro. Infine, assumere sempre un’intenzione positiva: “Risolviamo il problema insieme”. Questo cambia tutto.

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