Formazione continua: un ritornello che rimbalza sempre più insistentemente fra i dipartimenti aziendali e una sorta di mantra per molti responsabili delle risorse umane impegnati attivamente nel processo di trasformazione della propria organizzazione. Una recente indagine condotta da Cfmt (Centro di formazione management del terziario) e Asfor (Associazione italiana per la formazione manageriale) ha approfondito proprio questa tematica, entrando nel merito degli aspetti quantitativi (le ore passate in aula dai manager) legati all’acquisizione di nuove competenze, ma anche dell’approccio alla formazione e degli obiettivi di questa attività.
Il principale messaggio che scaturisce dalle risposte degli 850 professionisti italiani eletti a campione fra amministratori delegati, dirigenti e quadri è stato così sintetizzato dagli autori della ricerca: il percorso di apprendimento, per i manager, non finisce a carriere avviata. Anzi. E lo dicono i numeri. Nel corso dell’ultimo anno sono state dedicate alla formazione in media 6,4 giornate, il 20% in più rispetto al 2017, e la percentuale cresce ulteriormente nel caso di amministratori delegati e direttori generali (6,9 giornate) e dei manager under 40 (7 giornate), mentre diminuisce leggermente nella fascia di età compresa fra i 49 e 56 anni (6,1 giornate in aula). Più in generale, recita ancora lo studio, il tempo destinato al perfezionamento delle proprie capacità è aumentato del 44% negli ultimi due anni e si prevede che possa superare il 62% entro il 2022.
«La voglia di formazione manageriale, ormai considerata indispensabile soprattutto dai vertici aziendali, è sempre più evidente in un contesto lavorativo complesso e in rapido cambiamento, con forti processi di innovazione organizzativa e digitale che impongono l’aggiornamento continuo delle competenze per adeguarle alla nuova vision strategica», ha osservato Marco Vergeat, presidente di Asfor e coordinatore scientifico dell’Osservatorio Managerial Learning da cui è nata l’indagine. Una sottolineatura esplicita, che ribadisce il bisogno formativo sentito oggi dalle imprese per stimolare e migliorare le performance a livello tecnico e umano, in una logica di apprendimento individuale che (si legge in una nota) si deve innestare nelle organizzazioni e nei team. Strategia, change management, digital mindset, leadership e soft skill rimangono, in ogni caso, i contenuti sui quali si è concentrata, e sarà maggiormente focalizzata anche in futuro, la “domanda” di aggiornamento.
Le aziende italiane, nonostante permanga una generalizzata diffidenza rispetto all’opportunità di investire in programmi formativi «fatti su misura» per i propri dipendenti, denotano in modo sempre più evidente la necessità di rafforzare i percorsi di apprendimento per elevare la competitività del personale, coinvolgendo in modo prioritario chi ha potere decisionale e quelle fasce finora meno coinvolte e presenti. Quanto alle figure cui è demandata di avviare e gestire un progetto di formazione, la maggioranza di direttori generali e amministratori delegati è concorde nell’affermare come queste attività dovrebbero essere inserite direttamente nei piani di sviluppo aziendali.
La propensione a promuovere percorsi formativi, in particolare, è più elevata in chi ha avuto un’esperienza internazionale e in chi ha già rivestito in azienda un ruolo manageriale, mentre solo la metà (il 53% per la precisione) di quadri e under 40 si dice convinto della possibilità di essere più partecipi nella definizione dei percorsi di crescita. In questo scenario ancora non uniforme, come ha osservato infine Pietro Luigi Giacomon, Presidente di Cfmt, emerge una richiesta più rafforzata di formazione vicina ai problemi reali.
«Da un lato - ha detto Giacomon in occasione della presentazione del rapporto - sta cambiando la cultura aziendale, perché l’endorsement verso un aggiornamento professionale arriva sempre più spesso dall’alto e da un management che si fa promotore dell'investimento in formazione, mentre dall’altro il singolo dirigente è chiamato a trovare stimoli nella possibilità di misurarsi con problemi e progetti reali da risolvere o realizzare».
A livello pratico, oltre alla formazione svolta in aula e attraverso corsi e workshop, sono considerate necessarie altre forme di apprendimento come il coaching e il mentoring, i master organizzati dall’azienda presso enti di formazione specifici o business school con una forte dimensione internazionale, i corsi interaziendali di breve durata e i focus group su temi specifici. C’è anche chi, per contro, non ripone particolare fiducia negli strumenti più innovativi. Per il 17% circa dei rispondenti, infatti, l’attività di digital learning, se non integrate con la formazione tradizionale, appare una modalità di apprendimento poco efficace (oltre che difficilmente praticabile) e poco adeguata alla necessità di acquisire competenze manageriali solide.
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