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Cari genitori, lasciate lo sport ai vostri figli! Le regole per…

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diario di un allenatore

Cari genitori, lasciate lo sport ai vostri figli! Le regole per tutelare l’armonia in campo e in famiglia

Leviamo subito dal campo ogni dubbio. I genitori che urlano in tribuna sono “loro”. Quelli che insultano gli arbitri sono sempre quelli dell'altra squadra. Quelli che criticano il proprio allenatore sono gli “altri” e quel papà che insiste tutto il pomeriggio a dire al proprio che figlio che la partita di domani è “importante” è quel pazzo ossessionato di cui non ricordo il nome. Adesso che abbiamo fatto chiarezza su chi sbaglia (lo ricordiamo: gli «altri»), se solo per caso ci siamo ritrovati in una di queste situazioni o simili, siamo forse meglio disposti ad accettare qualche riflessione su come affrontare al meglio la vita sportiva dei nostri figli.

Sono più o meno 5 milioni i genitori che si apprestano a scegliere o confermare quale sport far praticare ai propri bambini mentre si avvicina la ripresa della scuola e di tutte quelle attività parallele che completano le intense giornate dei ragazzi così affollate di impegni, corsi e allenamenti e che ritmano l'agenda settimanale delle famiglie. Una decisione nella quale il genitore a volte si trova, involontariamente o per semplice non conoscenza, un po' impreparato. Ed è un peccato perché il rischio è guastare la bellezza di questa fase della vita di tanti ragazzi che invece potrebbero trarne grandi benefici non solo fisici (chi scrive allena e ha allenato per tanti anni in squadre giovanili dilettantistiche e trae solo dall'esperienza diretta alcuni episodi).

A ciò si aggiunge il fatto che per i ragazzini il “momento sportivo” è diventato sempre più unico. Le possibilità di fare attività all'aria aperta si sono assottigliate. I pomeriggi spesi in cortile o all'oratorio ormai non esistono più. L'ora di educazione motoria è “sopportata” dalle scuole. La scelta quindi di praticare una disciplina sportiva è diventata una decisione “importante”, forse caricata a volte di troppi significati e aspettative.

Quelle frasi rivelatrici
Inutile fare discorsi teorici. Meglio interpretare, con un pizzico di ironia e di autoironia, alcune tipiche frasi che si sentono spesso a bordo campo
- Il falso distaccato: «Basta che si divertano…». Frase impeccabile in teoria ma a volte è la classica espressione che si sente pronunciare da quel genitore che vuole mostrare quasi indifferenza, ma che alla prima sconfitta inizierà a inveire contro il mondo e se poi il figlio dovesse stare troppo in panchina…
- Il competitivo: «Avete intenzione di fare una buona squadra?» frase rivelatrice di chi ci tiene a vincere, di solito un papà. Traduzione: non voglio proprio portare mio figlio in una squadra di scarsi dove si perde sempre.
- La mamma organizzatrice: «Non si potrebbero spostare al martedì gli allenamenti? Sento io le altre mamme faccio un gruppo su whatsapp…». Vittima di molteplici impegni suoi, della sua famiglia e di suo figlio tenta disperatamente di incastrare tutto, trascurando che un'intera Società sportiva piccola o grande ha esigenze proprie. Ma whatsapp diventa soluzione di tutti i problemi.

- Il falso modesto: «È bravino, niente di che, gioca un po' alla Dybala…». Di solito è il papà. Vede suo figlio come un campione (che probabilmente non è), ma non vuole dirlo esplicitamente. Alla prima non convocazione sarà un problema.
- Il simpatico incompetente: «Se possibile non dovrebbe stare in barriera…» o espressioni simili a seconda della disciplina rivelano il genitore “pauroso” che non conosce spesso le regole ma almeno è simpatico al limite del surreale.
- Quelli mai contenti: «Tutto bene, ma perché l'altro allenatore urla così tanto e invece il nostro…» (o il contrario). Hanno l'ossessione del confronto. Dell'allenatore soprattutto, ma poi anche delle divise, degli spogliatoi, delle riunioni più o meno frequenti e così via. C'è sempre qualcosa che di là fanno e qua no.

E cosa invece osservare
Diciamo invece su cosa sarebbe bello che i genitori ponessero più attenzione.
Valutate il miglioramento. Solo chi lavora bene migliora. L'obiettivo non è solo il risultato. Da una sconfitta si può imparare molto di più. Ma bisogna viverla bene, cioè osservando i miglioramenti che non sono solo tecnici ma anche nella capacità di stare con gli altri, nell'autonomia, nel carattere e così via. Una sola squadra vince il campionato, ma non è che tutte le altre sono composte da idioti, solo che hanno altri obiettivi. Si può vincere imparando.

I bambini, quando giocano e si divertono, sono serissimi. Ai bambini piacciono gli ambienti organizzati. Piace sapere quali sono i loro riferimenti e le regole. Non pensate che si divertano solo se corrono ridendo qua e là. Fare gli “stupidini” può essere divertente dieci minuti, ma poi stufa o fa litigare.
Non date alibi. Il campo era troppo piccolo, troppo grande, fangoso o secco, l'arbitro e così via c'è sempre una scusa per non accettare una sconfitta. Meglio riconoscere a volte che gli altri sono più forti.

- Scegliete la società sportiva giusta. A misura delle qualità di vostro figlio. Giocare in una squadra con i propri amici e crescere con loro è una esperienza che si ricorderà per tutta la vita. Iscriverlo per vincere in una società forte ma di ragazzi che ogni anno cambiano per essere sempre più forti potrebbe diventare un'esperienza inutile per lui e gratificante solo per il genitore.
- Lasciate che diventino autonomi. Non entrate mai nello spogliatoio, fategli portare la borsa in spalla e così via. Il bambino deve imparare a tenere in ordine le proprie cose e a non perderle. Servirà anche a casa…
- State zitti. Non interferite in quello che dice l'allenatore. Lo spogliatoio, il gruppo-squadra hanno proprie regole. E i bambini anche se piccoli le conoscono molto bene e le capiscono facilmente perché sono elementari. Voi invece non le sapete.

- Lasciate che gli allenatori sbaglino e che commettano ingiustizie. Anche di questo nella vita bisogna imparare a essere più forti (purtroppo) e riuscire a vincere ugualmente.
- Valutate con attenzione che sia lo sport giusto. Giusto per il bambino, non per voi. A volte viene vista come un'offesa personale se un allenatore comunica al genitore che forse il bambino non è interessato, che forse potrebbe piacergli un altro sport e potrebbe coinvolgerlo di più.
- Considerate che potrebbe essere anche vostro figlio quello che dice le parolacce, che dà fastidio agli altri, che risponde all'allenatore ecc ecc. non sono sempre “gli altri”.
- Giocare ai giardinetti è una cosa bellissima, ma non è fare sport. Le differenze sono fondamentali. Confrontarsi con le regole del gruppo, di un'organizzazione o di un arbitro è tutta un'altra cosa. E fa crescere come nient'altro.

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