C’è qualcosa di speciale e particolarmente accogliente nella presentazione della collezione uomo di Brunello Cucinelli per l’autunno-inverno del 2019-2020. Sarà l’atmosfera ovattata dei Navigli milanesi, specie di prima mattina, quando sono ancora avvolti in una leggera nebbia. Sembra d’altri tempi ma in questa zona della città non è mai andata via. Per fortuna. Sarà che è appena iniziato l’anno delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo Da Vinci, che ai Navigli ha dedicato un visionario progetto: oggi più che mai il suo spirito aleggia sulla città e forse non è un caso che Milano sia legata, in questi giorni, alla città natale di Leonardo, Firenze, anche dalla moda. Il Pitti Uomo si è chiuso venerdì passando il testimone a Milano, dove ieri sono iniziate sfilate e presentazioni di abbigliamento e accessori maschili. Sarà la temporanea trasferta della presentazione dallo showroom del centro a quello dei Navigli (lo spazio di via Montello sarà di nuovo utilizzato per la collezione donna, in febbraio, dopo una ristrutturazione che lo renderà sempre più simile a una casa). Sarà l’allestimento: al piano terra dello showroom di via Morimondo i modelli che indossano la collezione si mischiano ai giornalisti e ai compratori di boutique e department store e parlano con loro, quasi sempre in inglese. Ma nell’aria si sentono tante lingue. Sarà infine lo strano fenomeno che si verifica a ogni presentazione Cucinelli, specie delle collezioni uomo. Le persone che le frequentano, giornalisti e buyer, sembrano tutti vestiti Cucinelli. O almeno, in stile Cucinelli. Non lo fanno, quasi certamente, per piaggeria: è piuttosto un fenomeno legato al piacere - più che al bisogno - di essere in armonia con l’atmosfera del luogo dove si è invitati. Armonia: non è un caso che sia questa la parola più usata da Brunello Cucinelli mentre accoglie i suoi ospiti in un completo di velluto color panna a coste larghe e presenta anche a Milano, dopo essere stato per quattro giorni in stand a Firenze, la collezione che ci proietta nel prossimo autunno-inverno.
Di recente alcuni nomi importanti del made in Italy e del menswear - uno per tutti, Zegna - hanno deciso di cogliere questa opportunità che solo l’Italia offre: presentare senza soluzione di continuità al Pitti di Firenze e poi a Milano moda uomo. Cucinelli lo fa da sempre: prima lo stand in fiera, con allestimenti sempre più speciali stagione dopo stagione; poi l’open day a Milano. Armonia quindi in primis in questo: nessuna rivalità o polemica per come è strutturata la vetrina della moda maschile. Anzi, pieno sostegno e fiducia a Milano e a Firenze. «Certo, Parigi è Parigi. E’ una capitale, è una città stupenda. Ma non esiste un’altra settimana della moda uomo come quella che l’Italia può offrire - sottolinea Cucinelli -. Sul futuro dell’azienda sono tranquillo: i dati del 2018 sono buoni e ottime le prospettive per il 2019. Lo dico perché gli ordini della primavera-estate 2019 sono fatti da tempo e la campagna vendita per la collezione che vediamo oggi è praticamente conclusa. Un po’ meno sereno però lo sono ascoltando e guardandomi intorno: percepisco molte contraddizioni. Da una parte c’è il desiderio, da parte di tutti, di trovare pace fuori e dentro di sé. Dall’altro serpeggiano paura, tristezza, mancanza di speranza. Come imprenditore del made in Italy vorrei dare il mio contributo riportando più rilassatezza possibile nel vestire».
Il nome scelto per la collezione è “Gentleman at ease”, espressione inglese che potremmo tradurre sia con “gentiluomo a suo
agio” sia con “gentiluomo a riposo”. L’idea di “massima rilassatezza” di Brunello Cucinelli si traduce in
una nuova vestibilità, leggermente più ampia, per tutte le categorie, in primo luogo i pantaloni, sia classici che sportivi,
nei quali le pince rappresentano il punto d'incontro tra tradizione e silhouette comoda e moderna. Ma lo stesso vale per
cappotti “decostruiti” e maglioni, con scolli a V particolarmente profondi, da portare, anche in ufficio, con una t-shirt.
Tornando all’idea di armonia e al ruolo che un imprenditore della moda o uno stilista possono avere, Cucinelli pecca, come spesso gli accade, di eccessiva modestia: il suo contributo a rendere il mondo “at ease” va molto oltre e il suo approccio neoumanista al lavoro e al territorio lo ha reso un esempio per molti. Eppure non è mai soddisfatto e si pone sempre nuovi traguardi e cerca, con garbo estremo e avvolto nel cashmere o nel velluto, come oggi, di fare proseliti. «Quando ho incontrato Jeff Bezos abbiamo parlato poco di tecnologia e poco di moda. Gli ho chiesto che progetti avesse per i prossimi duemila anni. Mi ha guardato come se fossi un po’ matto e ha cambiato discorso - racconta Cucinelli -. Poi però mi ha richiamato e mi ha detto di averla avuta, qualche idea per i prossimi duemila anni: credo che chi, come noi imprenditori, ha avuto fortuna e un certo successo, debba trovare il modo di curarsi del mondo, non solo della sua azienda».
Cucinelli ha molte speranze nei giovani, negli ideali ambientalisti che molti di loro hanno. Ma è anche spaventato dall’idea che si dimentichino le lezioni del passato. «Ho riletto Tommaso Moro e la sua opera più famosa, L’utopia, un testo del 1516 che per molti versi è attualissimo. Credo sia molto importante tornare a sognare un mondo migliore, più sereno e felice per tutti. Non capisco perché si dovrebbero avere delle remore a usare questa parole: tranquillità, armonia, felicità, appunto. La desideriamo tutti, come tutti desideriamo, poveri o ricchi, di respirare un’aria pulita e di vivere su un pianeta che ha un futuro».
Utopista, idealista, ma anche realista: oltre a Tommaso Moro, Cucinelli ha anche riletto di recente i testi sulla Guerra dei trent’anni, la serie di conflitti armati che dilaniarono l'Europa centrale tra il 1618 e il 1648. Fu una delle guerre più lunghe e distruttive della storia europea, una sorta di “prima guerra mondiale ante litteram”, secondo l’imprenditore. «Capisco che oltre quattro secoli possano sembrare un tempo troppo lungo per fare paragoni. Ma rileggendo perché quella guerra iniziò e perché durò così tanto si riesce invece a comprendere quanto sia importante riconoscere la nascita dei conflitti e lavorare tutti insieme perché essi non crescano, non ci sfuggano di mano. Tutti, ciascuno nel suo ruolo, può fare qualcosa per portare un po’ di armonia in questo mondo».
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