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Quando leader africani e tribù libiche volevano Prodi come mediatore

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L’OCCASIONE MANCATA PER L’ITALIA

Quando leader africani e tribù libiche volevano Prodi come mediatore

Nel 2011, due mesi prima della caduta di Gheddafi, nel pieno della guerra civile, i capi delle tribù della Libia e i capi di stato africani chiedono all’Onu la mediazione di Romano Prodi per tentare di risolvere la difficile crisi dell'ex colonia italiana.

L’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, in una missiva “confidenziale” al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, datata 15 agosto 2011, invita l’Onu «a fare dei passi urgenti per facilitare il processo di passaggio della Libia e la fine della guerra civile, per salvare la Libia dalle violenze che potrebbero produrre una catastrofica situazione».

Nella lettera, Mbeki suggerisce a Ban Ki-moon di nominare Prodi mediatore internazionale sotto la bandiera dell’Onu, per facilitare una soluzione politica della crisi libica. Il professore, scrive il successore di Mandela senza troppi giri di parole, è la persona giusta «perché conosce i principali attori coinvolti nella crisi a Tripoli e Bengasi. Perché conosce i leader delle principali tribù, che anche hanno fiducia in lui. Perché conosce da vicino la situazione libica, di cui si è occupato per molti anni da primo ministro italiano e da presidente dell’Unione europea». E, in ultimo, «perché è riconosciuto da tutte le parti coinvolte dal conflitto libico come una importante personalità capace di una azione indipendente».

Qualche giorno dopo la lettera di Mbeki, si svolge il Forum africano degli ex capi di stato e di governo. La crisi libica è il principale punto all’ordine del giorno. Il 20 agosto 2011, sulla scia della lettera inviata da Mbeki, 25 ex presidenti e primi ministri africani approvano un documento in cui chiedono al segretario Onu di nominare Prodi mediatore internazionale «per cercare una soluzione politica della crisi e avviare un fattivo processo di stabilizzazione» e per fare «ogni sforzo nella direzione di una riconciliazione». Il documento è firmato dai rappresentanti di Botswana, Nigeria, Burundi, Sud Africa, Mozambico, Mauritius, Benin, Capo Verde, Malawi, Principe, Tanzania, Zambia, Namibia, Ghana, Liberia e dagli ex segretari di Uneca (Un Economic Commission for Africa), Unione africana, Commonwealth e African Development Bank.

Oltre all’endorsement dei capi di stato africani, qualche mese dopo la caduta di Gheddafi, il segretario della potente Associazione delle tribù libiche, Ali Alahwai, scrive un altro appello in favore del professore, in una lettera indirizzata a Ban Ki-moon, a Jean Ping, allora presidente della Commissione dell’Unione africana e all'Alto commissario per gli Affari esteri Ue, Catherine Ashton.

Scrive il capo delle tribù libiche a nome di tutte le principali tribù: Warfala, Awageer, Arifahm, Tripoli, Seaan, Hrabah, Mgarha e Ashraf Garian che hanno sempre avuto un ruolo molto importante per il controllo del territorio in Libia: «Noi crediamo che il presidente Prodi possa essere la persona giusta per giocare un ruolo di mediatore e facilitare il dialogo all'interno del nostro paese».

In Libia da allora, dalla caduta di Gheddafi, è non mai partito un reale processo di stabilizzazione. Prodi non è stato nominato mediatore Onu (ruolo che, come è noto, ha svolto poi in Mali). Le lettere dei capi di stato africani e dei capi delle tribù libiche a Ban Ki-moon non hanno sortito nessun effetto perché è mancato il sostegno del governo italiano: lo scorso anno, l’Italia si è girata da un’altra parte quando si è trattato di puntare sul professore. E così lo scorso agosto Ban Ki-Moon ha nominato inviato speciale Onu in Libia il giovane diplomatico spagnolo Bernardino Leon, classe 1964, già consigliere politico del primo ministro spagnolo Zapatero, già inviato speciale Ue per il Mediterraneo, che ha potuto godere invece del sostegno convinto della signora Ashton e della Ue. Un diplomatico abile a muoversi nei corridoi ovattati della Commissione europea e a tessere le fila tra gli sherpa ai vertici G-20, ma che sul campo in Libia, almeno nei primi mesi del suo difficile lavoro negoziale si è mosso con scarso successo considerando le ultime, drammatiche, notizie di cronaca.

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