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Comunicare il Califfato costa 3 miliardi di dollari

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la macchina della propaganda

Comunicare il Califfato costa 3 miliardi di dollari

Sette pilastri televisivi, 90mila account elettronici, riviste tradotte in 12 lingue per portare il messaggio dello Stato islamico nei più lontani punti del mondo, un ministro ad hoc sulla comunicazione, e ben 3 miliardi di dollari come prezzo che l’organizzazione spende per far marciare la macchina della propaganda dello Stato islamico. Questi sono alcuni dati dell’ultimo studio del ricercatore egiziano Sabra Al Qasimi, ex jihadista, che al Arabiya divulga.

Fin dagli esordi dei primi filmati del terrore o di propaganda che l’organizzazione dello Stato islamico divulgava nei vari canali di social network, si era subito percepita la potenza che aveva in materia di comunicazione. Ora arriva nero su bianco lo studio che mostra la struttura di questa macchina da guerra che l’Isis ha messo in moto, grazie alla quale è riuscito non solo ad attrarre seguaci da tutto il mondo ma anche ad incutere paura e terrore, dentro e al di fuori dello Stato islamico.

Al Baghdadi si dimostra generoso se si tratta di comunicare e non bada a spese. Con lo studio di Al Qasimi, i canali della propaganda dell’organizzazione islamista hanno ormai un nome: sono Ajnad, Al-Furqan, Al-Istisam, Al-hayat, Makatib Al Wilaya, Idaat Al Bayan, e la rivista Dabiq. Canali diretti da un ministero ad hoc, quello della comunicazione, a capo del quale troviamo Mohammad Al Adnani, nominato per questo ruolo proprio dal Califfo.

L’impresa non è semplice, ma è fondamentale nella politica dell’Isis, dietro la quale c’è una strategia ben precisa e non casuale. Ogni canale infatti ha un compito e un obiettivo ben preciso che l’organizzazione stabilisce. Anche se principalmente l’obiettivo comune è quello di divulgare e vendere al meglio il pensiero oscurantista dell’organizzazione nei vari punti del mondo al fine di arruolare nelle fila del Califfato il più grande numero di cittadini, soprattutto giovani, inclini al pensiero fondamentalista.

Per far funzionare al meglio la macchina della propaganda evidentemente ci vogliono molti soldi che il Califfato non ha problema a coprire grazie ai pozzi di petrolio iracheni che ormai gestisce, ai 480mila dollari trovati nella banca di Mosul e di cui si è impossessato insieme ai 250 chili di lingotti d’oro, solo per fare qualche esempio. L’investimento sulla comunicazione, dice lo studio di Al Qasimi, non è solo diretto ai canali di propaganda, ma anche agli strumenti tecnici, come le telecamere di ultima generazione e altro materiale che serve alla produzione, e che acquista tramite la Turchia. Strumenti di altissima qualità, se si pensa ai luoghi dove vengono girate le immagini e del risultato finale.

Lo studio Ajnad è il primo pilastro di comunicazione importante per lo Stato islamico, perché è proprio dentro questo studio che vengono prodotti gli Anasheed, le musiche jihadiste che accompagnano i video dell’Isis delle esecuzioni, fanno da sottofondo ai siti di propaganda Is o possono essere di accompagnamento alle stesse pattuglie di polizia che percorrono le strade o fare da inno di guerra quando i soldati sono in battaglia. Per Ajnad il Califfo elargisce un milione di dollari. Duecento milioni di dollari vanno invece al canale televisivo Al Furqan, ex canale di Al Qaida. Per quanto riguarda il canale Al-Itisam, ci sono invece 500 milioni di dollari, che servono anche per coprire i suoi numerosi inviati dentro Iraq e Siria, che hanno il ruolo di coprire i vari scontri che vivono i due Stati.

Anche per il canale al Hayat ci sono 500 milioni di dollari. Il suo compito è quello di produrre i dibattiti televisivi con l’organizzazione dell’Isis, ma è anche il canale di riferimento per la produzione dei video delle esecuzioni. Quello sui copti, per esempio, è stato realizzato proprio da al Hayat, dice lo studio di Al Qasimi. Poi ci sono canali locali, come Makatib Al Wilaya, che si rivolgono alle province conquistate dall’organizzazione, e anche per loro ci sono circa 20milioni di dollari. Mentre il canale Al Bayan, che trasmette a Mosul, nell’Anbar e Raqqa così come su internet, manda in onda la lettura del Corano, degli Anashed, intermezzati da Tg. Per loro 100 milioni di dollari.

La rivista punta di diamante dello Stato islamico invece è Dabiq, il settimo pilastro della comunicazione del Califfato. È una rivista settimanale, con un sito internet che si aggiorna quotidianamente, e costa al Califfato 500 milioni di dollari. La rivista è stata chiamata così, dice lo studio, perché l’organizzazione dello Stato islamico è convinta che ci siano dei Hadith del profeta che indicano la città di Dabiq in Iraq come il luogo dove si avrà una guerra tra i musulmani e gli infedeli. La rivista viene distribuita in 4 lingue negli Stati Uniti e in tutta Europa, e viene ritradotta in 12 lingue.

A questi sette pilastri fondanti della comunicazione del Califfato si aggiungono ovviamente i social network come Facebook e Twitter, fondamentali per la propaganda e il reclutamento di menti fragili, soprattutto fra i giovani. Su questo strumento ci sono almeno 90mila pagine dedicate al pensiero dell’organizzazione in rete da tutto il mondo, perché il sogno è proprio quello di convincere che lo Stato islamico è un progetto mondiale per istituire l’Islam e il Califfato. Un obiettivo per il quale il Califfo non bada al prezzo.

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