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Israele, reportage sul voto più incerto da vent’anni

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IL REPORTAGE

Israele, reportage sul voto più incerto da vent’anni

TEL AVIV - «La destra è in pericolo: gli arabi stanno votando in massa», dichiara Bibi Netanyahu per spingere i coloni dei territori occupati, i nazionalisti e i religiosi a correre ai seggi. Diffondere la paura è la sua qualità maggiore. Ma inventarsi tutto quanto è possibile per mobilitare gli elettori della dodicesima ora, è un’attività di tutti i partiti.
L’allarme di Netanyahu non sembra aver particolarmente spaventato gli israeliani che in una bella giornata di primavera hanno approfittato del riposo regalato dalle elezioni. A Gerusalemme centinaia di persone hanno affollato per un pic-nic il parco attorno alla Knesset. A Tel Aviv tutti in spiaggia e decine di vele sul mare.
Nonostante l’insistenza dei candidati e l’appello di molte organizzazioni, fino a metà pomeriggio, alle 16, l’affluenza non è stata alta: meno del 45%, oltre un punto in meno rispetto alle elezioni del 2013. Gli israeliani partecipano, ma per il momento non sembrano sentire l’urgenza della situazione. Il centro-sinistra dice che l’economia va male e le destre che Israele è in pericolo: due problemi che non sembrano così impellenti all’orizzonte.

Non è chiaro se Netanyahu abbia notizie reali o il suo sia solo un falso allarme elettorale. Ma gli arabi – gli arabi israeliani, cioè i palestinesi che nella guerra del 1947/48 non fuggirono né furono cacciati dalle loro case – potrebbero essere davvero la sorpresa del voto. Per la prima volta nella storia contemporanea di Israele, i quattro piccoli partiti arabi, dai comunisti, ai laici, agli islamisti, si presentano con una lista unita: sono il 20% della popolazione e dell’elettorato, insieme possono conquistare fino a 15 dei 120 seggi della Knesset, diventando il terzo partito dopo Sionismo Unito (i laburisti di Isaac Herzog e Hatnua, il piccolo partito di Tzipi Livni) e il Likud di Netanyahu. Ma sarà difficile, dopo le elezioni, superare il loro tradizionale frazionismo e le notevoli differenze ideologiche.

Negli ultimi giorni i sondaggi hanno continuato a ribadire un margine di quattro seggi a favore della lista di centro-sinistra: 26 a 22/24 a 20. Ma in queste ore i partiti a destra del Likud e suoi alleati, stanno spingendo alcuni dei loro elettori a votare a favore di Netanyahu per colmare il margine negativo con gli avversari di sinistra. Per vincere, i laburisti devono mantenere la distanza di tre/quattro seggi. A Netanyahu basta pareggiare: se conquista gli stessi seggi di Herzog, vince con l’aiuto dei partiti minori di destra. Ma la distanza fra i due principali candidati al premierato e tra i due fronti, sembra essere troppo stretta per prevedere un reale vincitore. Da oltre un ventennio, è forse la più incerta delle elezioni.

Sono quasi 5 milioni e 900 mila gli israeliani che nei 10.372 seggi del Paese, hanno il diritto di votare per i 1.280 candidati di 11 dei 26 partiti originali, che hanno la possibilità di superare la soglia quest’anno portata al 3,25%: alle consultazioni precedenti il limite di un partito per entrare in parlamento era più bassa.
Il leader del partito vincitore avrà l’incarico dal Presidente della repubblica di formare il nuovo esecutivo. Ha quattro settimane di tempo, che in caso di necessità possono essere estese per altri quindici giorni. Se non riesce a formare una maggioranza, l’incarico passa al leader del secondo partito: altre quattro settimane più due. Poi si torna alle urne. Il risultato di questo voto è così incerto e le percentuali così vicine da spingere molti a credere che a settembre Israele tornerà alle urne.

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