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Claudio Borio (Bri): «Il mondo è troppo dipendente dai…

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ricette anti-crisi

Claudio Borio (Bri): «Il mondo è troppo dipendente dai debiti»

  • –di Riccardo Sorrentino

Difficile immaginare due facce così diverse di una stessa medaglia. Solo qualche anno fa, sul banco degli accusati c'era la liquidità. Era stata eccessiva, aveva creato instabilità sui mercati finanziari e immobiliari, che era poi esplosa dando vita alla Grande recessione. Oggi la liquidità - di nuovo tantissima dopo i quantitative easing delle principali banche centrali - è invocata come la soluzione di molti mali. Difficile non pensare a un ciclo, a una successione di boom e di crolli. La domanda è allora immediata: si stanno piantando i semi di una nuova crisi? È questo il costo delle attuali politiche monetarie ultraespansive?

Per rispondere a questa domanda, appare naturale rivolgersi alla Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, che aveva previsto la crisi del 2007-08, che continua ancora oggi a studiare i cicli finanziari e i loro effetti. Ascoltando i suoi consigli, molti paesi hanno adottato misure di vigilanza “macroprudenziale” - in un'ottica di sistema, quindi - per garantire la stabilità finanziaria. Forse però non basta. Claudio Borio, che guida il Monetary and Economic Department, lancia infatti un messaggio preciso: il mondo deve uscire dalla dipendenza dal debito: «Dobbiamo liberarci dall'illusione che possiamo ottenere una crescita sostenibile attraverso il debito».

La liquidità ha già creato qualche nuovo rischio. «Fra i paesi meno colpiti dalla crisi come in alcuni emergenti, anche molto grandi, o in paesi avanzati grandi esportatori di materie prime- spiega Borio - c'è stata o è ancora in corso una forte crescita del credito e delle quotazioni immobiliari: ci sono segni di possibili rischi finanziari e macroeconomici per il futuro». Nei paesi che sono usciti o stanno uscendo dalla Grande recessione la situazione sembra più tranquilla, ma in alcuni di questi, aggiunge, «vediamo segnali che sono normalmente associati con gli stadi più avanzati di un boom finanziario: assunzioni aggressive di rischi, premi al rischio compressi, standard creditizi generosi». È una situazione che richiede uno sforzo analitico per capire «quali rischi possa comportare».

Il mondo non ha dunque imparato nulla dalla crisi? No, non è così: molti passi avanti sono stati fatti nel definire nuove forme di vigilanza sia “micro” sia “macro”. Il punto è che non bastano. «Questi strumenti possono funzionare bene, in particolare, nel rafforzare la resilienza del sistema finanziario e molto è stato fatto in questo senso. Sono meno efficaci però nel limitare la creazione di squilibri finanziari: nei paesi emergenti sono stati usati attivamente, ma i sintomi di possibili squilibri sono ancora lì».

Il problema è che esiste una tensione tra diversi strumenti di politica economica. «È un po' come premere contemporaneamente sul freno e sull'acceleratore», spiega Borio. Semplificando, le politiche macroprudenziali funzionano in modo simile alla politica monetaria: se questa è espansiva e la vigilanza è invece più rigida il conflitto tra misure diverse è inevitabile. E questo può accadere, aggiunge Borio, quando ci si affida troppo alle misure macroprudenziali, dimenticando che occorre modificare l'intera struttura della politica economica. Adottando per esempio un orizzonte temporale più ampio, perché questo richiedono gli attuali sistemi finanziari. Così facendo, «una politica che è molto espansiva durante i boom finanziari può sfociare in crisi e in elevati costi macroeconomici che possono paralizzare la politica monetaria».

Per non adottare politiche espansive nel momento sbagliato, bisogna imparare ad avere meno paura di quella che chiamiamo deflazione ma che non è certo la temuta spirale in picchiata di salari e prezzi. Non è vero, innanzitutto, che crea recessione. «C'è un'associazione molto debole tra i prezzi in calo e la crescita del pil», aggiunge Borio riconoscendo un'eccezione, l'unica: la recessione dopo la crisi del '29. «Non dovremmo però vedere la deflazione solo attraverso le lenti della Grande recessione. La deflazione non è quella linea rossa superata la quale si cade nell'abisso: i dati storici ci dicono che non è così». I casi di paesi che nella storia recente hanno avuto una deflazione “buona” sono tanti: Svizzera, Polonia, Nuova Zelanda, Israele, e Cina, per nominarne solo alcuni. Ed è stato così anche negli stessi Stati Uniti negli “anni ruggenti”, gli anni Venti, durante il boom finanziario che ha creato le basi della crisi e della recessione negli anni 30.

Occorre innanzitutto capire, allora, quanta parte della deflazione è causata da fattori positivi - maggiore offerta, progresso tecnologico, globalizzazione, calo dei prezzi delle materie prime - e quanta da un calo della domanda aggregata. Avere come unico obiettivo la stabilità dei prezzi, in questo quadro, può essere fuorviante. È altrettanto importante la stabilità finanziaria. I due obiettivi, in un orizzonte temporale sufficientemente lungo, sono compatibili. «Occorre allora saper “stringere” la politica monetaria anche se l'inflazione bassa e stabile o anche in calo se si vedono rischi sul fronte finanziario, come una forte crescita del credito o un aumento delle quotazioni immobiliari», spiega Borio, che aggiunge: «Questa è la grande sfida per le banche centrali: non è stata riconosciuta come tale prima della crisi, ma solo dopo. E ora non c'è alcun consenso su cosa occorra fare».

L'obiezione sembra semplice: sembra essere proprio il rialzo dei tassi Usa, e l'apprezzamento del dollaro, a creare rischi di turbolenze finanziarie. Ma è proprio questa la causa? «Nei paesi meno colpiti dalla crisi il credito è aumentato fortemente e una buona parte di questa crescita è stata in dollari: dal 2009 si è passati da 6mila a più di 9mila miliardi di debiti in dollari, un aumento del 50%». In alcuni paesi - «alcuni sono molto grandi, fonti della crescita globale dopo la crisi» - il rialzo della valuta Usa (ma anche il calo del petrolio, se si tratta di Paesi esportatori) potrebbe coincidere con l'inizio della fase discendente del ciclo creditizio e potrebbero quindi esserci rischi per la stabilità finanziaria e macroeconomica.

Sarebbe sbagliato rispondere a queste situazioni, di nuovo, con una politica espansiva. La tentazione però è proprio questa: Raghuram Rajan, oggi governatore indiano, ha parlato di espansioni monetarie competitive, spesso individuate dai politici come “guerre valutarie”. Il risultato sarebbe un'espansione delle condizioni monetarie globali. Per molti è la risposta giusta: aumenta la domanda e tutti ci guadagnano (è un gioco a somma positiva).

Per la Bri la storia è diversa. «Se si parte da una maggiore preoccupazione per le conseguenze di medio-lungo termine di tutto questo, condizioni monetarie troppo espansive per un tempo troppo lungo danno luogo a un gioco che è a somma negativa». Ci perdono tutti, insomma: aumentano i rischi alla stabilità finanziaria e a quella dell'economia reale del mondo intero. «Per noi - spiega Borio - la politica monetaria non è la risposta. La risposta sono differenti politiche di lungo termine, strutturali, che aumentino la crescita potenziale del mondo. Non è una risposta facile, ma non ci sono soluzioni semplici: il mondo deve provare a uscire dalla dipendenza dal debito, considerato come una scorciatoia per la crescita».

Troppo debito espone infatti a rischi che vanno al di là del sistema finanziario: una recessione da bilanci (balance sheet recession) generata da troppi debiti e una fase discendente del ciclo finanziario. Diversi paesi europei, ma non tutti, hanno appena vissuto una crisi di questo tipo, nella quale la politica fiscale e quella prudenziale sono particolarmente difficili - il sistema è indebitato, le banche necessitano di ricapitalizzazioni e salvataggi e le spese pubbliche dovrebbero essere orientate soprattutto a risanare i bilanci piuttosto che ad aumentare la domanda. Al punto che sorge la tentazione di affidare tutto alla politica monetaria, che può in realtà fare poco. «Mi piace spesso dire, un po' parafrasando Kennedy, non chiedetevi cosa possano fare le banche centrali per i governi, ma cosa potete fare voi Governi per le banche centrali», dice Borio.

Quel che bisogna fare è imparare a gestire i lunghi cicli finanziari. Come? Riducendo - il tema ritorna più volte durante l'intervista - la dipendenza dal debito. «Il debito è stato un sostituto sociale ed economico della crescita. Ci fa sentire ricchi a svantaggio delle prospettive future, ma non necessariamente aumenta la crescita. Maschera la riduzione di lungo termine della produttività che abbiamo visto nell'economia mondiale».

Come uscire da questa dipendenza? Bisogna tener conto dei cicli finanziari e della loro lunghezza, spiega Borio; poi essere più creativi nelle politiche fiscali, in modo che non incoraggino l'aumento dei debiti a svantaggio della sottoscrizione di capitale; trasformare gli stessi contratti sui debiti, in modo che diano spazio a forme di capitale; e infine si rafforzino i fattori di crescita che incidano su produttività e competitività.

Un punto fondamentale è che occorre anche un maggior coordinamento tra i paesi. «Mantenere la propria casa in ordine, come diceva Tommaso Padoa-Schioppa, non basta. Bisogna mettere ordine anche nel villaggio globale, per così dire». Il problema è che non è semplice: non c'è alcun accordo sulla diagnosi - spiega Borio - e nell'incertezza generale non è facile convincere cittadini e politici che la strada giusta sia proprio questa. «Ma - aggiunge - solo perché è così difficile non significa che non dovremmo provarci».

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