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Obama: con Castro «voltiamo pagina»

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il disgelo usa-cuba

Obama: con Castro «voltiamo pagina»

Un gesto storico. Il presidente americano, Barack Obama, stringe la mano al capo dello Stato di Cuba, Raul Castro. (Epa)
Un gesto storico. Il presidente americano, Barack Obama, stringe la mano al capo dello Stato di Cuba, Raul Castro. (Epa)

L’incontro c’è stato: Barack Obama e Raul Castro hanno avuto ieri, al vertice delle Americhe di Panama, un dialogo diretto, il primo faccia a faccia in 59 anni fra un presidente americano e un presidente cubano. Una svolta storica, il preambolo di un depennamento dell’Avana dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo e della riapertura delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Una tappa prevista nel percorso di riavvicinamento annunciato dallo stesso presidente americano il dicembre scorso, quando prometteva che i turisti americani sarebbero tornati a Cuba e che le relazioni d’affari e diplomatiche si sarebbero normalizzate.

Per Raul Castro tuttavia, l’America resta deprecabile per aver «appoggiato e dialogato con il regime di Fulgenzio Batista, per aver organizzato lo sbarco alla Baia dei porci, per aver trasformato Guantanamo in una prigione». I “distinguo” di Castro su Obama sono continuati quando il presidente cubano ha detto di essere meno irritato con Obama perché considera che «il presidente sia di buon cuore e onesto nei suoi propositi», un’affermazione che separa l’America dal suo presidente, cosa inammissibile per le dinamiche di Washington. Una retorica necessaria forse. Una retorica che sarà forse presto dimenticata, soprattutto quando si passerà alla normalizzazione. «Siamo pronti a discutere di tutto - ha detto ancora Raul - nel rispetto delle idee altrui. C’è bisogno di molta pazienza».

Ma a breve, nel gioco della politica, servirà solo a rafforzare la tesi di chi in America afferma che la presidenza Obama, con la sua smania di tendere la mano ha finito di nuovo col “dare” senza “ricevere”. È questa la critica più seria per Obama a casa. I repubblicani lo accusano di aver abbassato la guardia sulle sanzioni, prima a Cuba e poi all’Iran (tutto ancora da definire nel dettaglio ovviamente) senza aver prima eliminato o essersi garantito l’eliminazione degli elementi sottostanti, le vere differenze alla base di rapporti politici difficili: la permanenza di regimi dittatoriali di matrice religiosa in Iran, di matrice comunista a Cuba; l’astio nei confronti degli Stati Uniti da parte cubana e di molti Paesi sudamericani e la promessa di distruggere Israele o la continua sponsorizzazione del terrorismo da parte dell’Iran.

Ma Obama si è scrollato di dosso le critiche con facilità. Nel suo intervento ha detto di rifiutare una retorica stantia: «L’America non sarà prigioniera del passato, guardiamo al futuro e, francamente le battaglie iniziate prima che io nascessi non mi interessano, la Guerra Fredda è finita da tempo». Messaggi simili li avevano dati altri presidenti americani, ma era Cuba a bloccare il dialogo anche con Paesi potenzialmente amici. Ora, togliendo il “detonatore Avana” i messaggi aggressivi saranno spuntati: «Abbiamo cambiato l’equazione - ha detto Ben Rhodes, il numero due del consiglio per la sicurezza nazionale - prima volevamo isolare Cuba ma in realtà in Sud America eravamo noi ad essere isolati». Il vero obiettivo dunque, è quello di guardare oltre la retorica spicciola di Paesi che in effetti - e su questo Obama ha pienamente ragione - guardano indietro. «Voltiamo pagina», ha detto ancora il capo della Casa Bianca, «siamo nella posizione di poter cambiare strada verso il futuro».