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Perché un intervento sulle coste libiche è ad alto rischio

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LA TRAGEDIA DEI MIGRANTI

Perché un intervento sulle coste libiche è ad alto rischio

Dichiarare guerra agli scafisti. L'impegno è giusto, anzi doveroso. Ma chi sono davvero gli scafisti? E chi sta dietro loro, arricchendosi con uno dei peggiori crimini immaginabili; la tratta degli esseri umani? Ancora: distruggere i barconi utilizzati per trasportare le masse di disperati in fuga da Paesi in guerra e da realtà di miseria. È un’ipotesi che sembrerebbe sulla carta avere una certa efficacia. Ma occorre il permesso delle autorità di governo libiche. E quali sono le autorità? Chi il referente, considerando che il Paese è spaccato in due, con due governi, due parlamenti, due “eserciti”? Che aiutarne uno equivale a indisporre per usare un eufemismo - l'altro? Lo stesso discorso vale anche per l'ipotesi di un blocco navale. Senza l'assenso delle autorità locali equivarrebbe a un’ingerenza - per i più critici a una dichiarazione di guerra.

Le intenzioni sono buone, tradurle nei fatti, e in azioni concrete , risulta tuttavia più difficile. Il perché è semplice. Per quanto doveroso, soccorrere i migranti, cercando di salvare la vita di uomini, donne e bambini innocenti, e spingendosi ben oltre le 30 miglia marine dalle coste italiane, è - purtroppo - solo l'ultimo anello di una lunga catena. L'esodo dei disperati che riempiono le carrette del mare ha ormai assunto proporzioni tali che davanti a un fenomeno eccezionale servono misure eccezionali.

Assestare un duro colpo al fenomeno della tratta di esseri umani richiede un'operazione che comprenda anche, e soprattutto, un intervento sulle coste libiche. È là dove i migranti vengono tenuti in condizioni disperate, dove vengono percossi e torturati dai loro carnefici prima di essere imbarcati in massa. Ma gli Stati europei non possono permettersi di inviare i propri militari senza un accordo. Sarebbe un'operazione molto rischiosa dagli esiti incerti. Ed è questo il punto. Ancora una volta i negoziati per giungere a un accordo tra i due governi belligeranti - quello a Tobruk, in Cirenaica, riconosciuto dalla Comunità internazionale, e quello di Tripoli, guidato da una coalizione di fazioni islamiche, salito al potere lo scorso agosto a Tripoli - si rivelano fondamentali non solo per salvare la Libia dalla guerra civile, ma anche per arginare la tratta di esseri umani.

L'ex regno del colonnello Muammar Gheddafi è precipitato nel caos e nell'anarchia. Il vuoto di potere ha portato a un preoccupante effetto collaterale: diverse città portuali, soprattutto sulla costa occidentale, dalla capitale Tripoli al confine tunisino, sono ormai in mano a gruppi armati o a bande criminali. Che in questi mesi, e in alcuni casi, avrebbero anche forgiato un'alleanza con milizie estremiste (si parla anche di cellule legate all'Isis) pur di veder prosperare il loro fiorente business. L'Isis chiede un balzello, e garantisce loro con le armi la prosecuzioni dei loro loschi traffici. Senza contare che la tratta di essere umani è un business così ricco e remunerativo da aver attratto altri attori. Ne sarebbero coinvolte, seppure in grado diverso, anche alcune milizie armate.

Notizie precise su chi controlla chi, e che cosa, non sono facili da ottenere. E vanno prese con il beneficio del dubbio. Ma già lo scorso 27 gennaio, Ali Tarhouni, presidente dell'Assemblea costituente della Libia, aveva avvertito: truppe di jihadisti avrebbero occupato Sabrata, poi il porto di Zawiyah fino a Zuara, porticciolo da cui partono quasi tutte le imbarcazioni di migranti diretti in Sicilia e a Malta. L'Isis, dal canto suo, aveva minacciato di usare la “jihad marittima”. Sempre il 27 gennaio un rapporto dello Stato Islamico , la cui autenticità non è stata tuttavia verificabile, annunciava: «Entreremo in Europa con i migranti e la trasformeremo in un inferno». Solo minacce, ma più passa il tempo, più il pericolo che si verifichi una saldatura tra reti criminali e Isis diviene sempre più reale.

Ecco perché serve un governo di unità nazionale in Libia, credibile e autorevole. A cui inviare aiuti, mezzi e tecnologia per combattere questo fenomeno. Perché in caso contrario c'è anche il rischio che a beneficiarne siano poi le persone sbagliate. In questi giorni i negoziati in corso tra i due belligeranti, in Marocco, sarebbero progrediti sensibilmente, con già delle bozze di accordo su alcuni temi centrali. Oltre ad attuare in tempi rapidi i 10 punti per fermare l'immigrazione clandestina, l'Europa deve fare il possibile affinché tale accordo venga finalizzato. Ma occorre agire, e farlo in fretta.

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