Il “no” parte alla pari nei sondaggi nel referendum di oggi, malgrado il governo Tsipras – con mossa contestata dalle opposizioni – abbia posizionato la casella “Oxi” (no in greco) sopra quella del “Nai” (sì) sulla scheda elettorale stampata. Le conseguenze di una vittoria del no, sarebbero molto più difficili da gestire e lo scenario più complesso anche se il governo Syriza dice che verrebbero ripresi i negoziati sulla base dell’ultima bozza resa nota da Juncker.
A questo punto Tsipras e Varoufakis però si appellerebbero alle aperture fatte dall’Fmi che ha parlato di un nuovo piano da 50-60 miliardi di euro e della riduzione del debito del 30%. Il premier Tsipras cercherebbe di migliorare l’ultima offerta ma alla fine dovrebbe firmare in ogni caso un compromesso a Bruxelles in tempi rapidi per permettere alla Bce di riaprire i rubinetti della linea di credito di emergenza (Ela) e salvare le banche boccheggianti nonostante il limite al prelievo dai bancomat. Resta da vedere, se a quel punto, troverà qualcuno seduto dall’altra parte della trattativa disposto a firmare ancora quel piano. Se i creditori si rifiutassero però sarebbe difficile spiegare il perché a un’opinione pubblica europea sempre più ostile verso l’euro-burocrazia. Dopo il sì a quel punto Tsipras si ripresenterebbe in Parlamento in Grecia con un piano da 8 miliardi di euro di nuove misure di austerità ma l’ala di sinistra di Syriza dovrebbe votarlo visto l’esito del referendum.
Dopo questo passaggio il terzo piano di salvataggio dovrebbe passare anche al Bundestag e altri tre parlamenti europei, Olanda, Finlandia ed Estonia. Se il parlamento tedesco non dovesse passare il piano, dicono con perfidia i greci, alla Merkel non resterebbe che dimettersi o indire a sua volta un referendum. Sarebbe uno scenario catastrofico perché la Grecia andrebbe fuori dall’euro sotto responsabilità tedesca, realizzando l’incubo, come dice l’ex ministro degli Esteri tedesco, Joschka Fischer, di una Germania che in un secolo distrugge tre volte il progetto europeo.
C’è anche l’ipotesi, come dicevamo, in cui la Troika potrebbe decidere di vedere il no al referendum come la fine di ogni negoziato possibile e di abbandonare la Grecia al suo destino. A quel punto Bruxelles chiuderebbe le trattative obbligando la Bce a congelare i finanziamenti, sospendendo le linee di credito d’emergenza. Atene senza liquidità per riaprire le banche e pagare stipendi e pensioni sarebbe costretto a battere una moneta propria.
Due le ipotesi più gettonate: valuta parallela (Iou, sorta di pagherò) che tenga in corso l’euro o la dracma, cioè l’addio definitivo alla moneta unica. Alcuni parlano anche di caso Montenegro, cioè un paese che usa l’euro come moneta estera senza però farne più parte. Le conseguenze del ritorno alla dracma sarebbero tragiche: ci sarebbero fallimenti e nazionalizzazione delle banche. L’euro non sarebbe più considerato una moneta irreversibile, ma un accordo di cambi fissi da cui si può uscire.
Il presidente della Repubblica Prokopis Pavlopoulos, è l’ultima incognita.«Non sarò mai il presidente di un paese che esce dalla moneta unica », ha detto. E se rassegnasse le dimissioni, manderebbe il paese entro un mese alle elezioni. Riaprendo i giochi per l’ennesima volta.
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