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L’allarme del CsC: «Il mondo rischia una stagnazione secolare»

L’economia mondiale è «a rischio stagnazione secolare». Colpa di una crescita molto più lenta del passato e delle attese. Il Centro studi di Confindustria lancia l’allarme e avverte: per i Paesi avanzati invertire la rotta è possibile, ma servono politiche per rilanciare la domanda, favorire la spesa in ricerca e sviluppo, tirare dritto con le riforme strutturali e puntare sul manifatturiero, motore dello sviluppo.

Pil globale: previsioni sempre in calo
Nell’analisi, firmata da Matteo Pignatti, si parte dai numeri del Pil globale: negli ultimi quattro anni le previsioni di aumento sono state costantemente riviste al ribasso, da un +4,8% medio annuo atteso nel 2011 per i cinque anni successivi a un +3,9% previsto nel 2015 dal Fondo monetario internazionale per il periodo 2016-2020. Per quest’anno, nell’arco di dodici mesi, le stime sono state abbassate ancora dal 4% al 3,3 per cento.

Rallentamento maggiore nei Paesi emergenti
Un rallentamento generalizzato, scrive il CsC, ma maggiore nelle economie emergenti strutturalmente più dinamiche, a partire dalla Cina: per loro le previsioni dal 2008 al 2015 sono diminuite di ben 1,9 punti (contro gli 0,5 dei Paesi avanzati), da +7% a 5,1%, calando significativamente già dal 2011.

Il pessimismo sul potenziale di crescita mondiale
Significativo, per il Centro Studi, il fatto che sia stato rivisto al ribasso anche lo sviluppo del Pil potenziale mondiale, ovvero il livello verso cui il Pil effettivo tende nel lungo periodo, al netto delle fluttazioni cicliche. La nota cita stime recenti del Fmi, secondo cui la crescita attesa del Pil potenziale dei Paesi avanzati nei prossimi cinque anni sarà più bassa di circa 0,8 punti percentuali rispetto a quella stimata per i primi anni 2000.

La demografia spiega metà della frenata
Tra le ragioni del minore potenziale di crescita il CsC annovera in primo luogo l’evoluzione demografica, che da sola «spiega metà del rallentamento»: sia perché il minor aumento della popolazione (dal +2% annuo del decennio Sessanta a quasi zero alla fine di questo secolo, secondo le previsioni Onu), egualmente distribuito in tutti gli emisferi, riduce la performance del Pil totale; sia perché l’invecchiamento della popolazione (la quota dei 15-64enni si riduce più del totale, da +1,5% medio annuo nel 2005-2010 a +0,9% nei prossimi cinque anni), fa calare la percentuale di persone in età lavorativa. Una dinamica che diventerà negativa nei Paesi avanzati (da +0,4% a -0,3%) e frenerà anche in quelli emergenti (da +1,8% a +1,2%).

Pesa anche la caduta degli investimenti
Se alla demografia possono ricondursi 0,6 punti di minor crescita globale, l’altra metà del taglio di 1,3 punti va ricondotta ad altri elementi: la carenza di domanda, sotto forma di bassi consumi e di «caduta degli investimenti» (erano pari al 22,8% del Pil dei Paesi avanzati negli anni 2000-2007, sono scesi al 20,6% nel 2010-2014 e in Italia addirittura al 16,9% nel 2014); i minori guadagni di produttività, stavolta soprattutto nelle economie emergenti che hanno visto affievolirsi alcune spinte positive che agivano prima della crisi.

La ricetta per uscire dalla stagnazione
Cruciale, per i Paesi avanzati, saranno le capacità di risposta delle politiche economiche. Il CsC sostiene che dal lato della domanda, a maggior ragione in Europa, «occorre proseguire con gli stimoli monetari non convenzionali, dati i tassi di interesse nominali già ai minimi, e attuare significativi interventi di bilancio pubblico, soprattutto con spesa in investimenti e infrastrutture». Dal lato dell’offerta, è invece «necessario favorire la spesa in R&S e puntare sulla qualità dell’istruzione, sul collegamento tra scuola e lavoro e sulla formazione permanente. E costruire - conclude la nota - una seria politica industriale per rafforzare il manifatturiero, settore ad alta dinamica della produttività e innovazione, con ricadute positive verso il resto dell’economia. In generale, occorre accelerare lungo la strada delle riforme strutturali, per favorire un’efficiente riallocazione delle risorse e cogliere così le opportunità di crescita, là dove queste si presenteranno».

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