Mondo

Argentina al voto, tre «italiani» per l'eredità di…

  • Abbonati
  • Accedi
Elezioni in Argentina

Argentina al voto, tre «italiani» per l'eredità di Cristina Kirchner

BUENOS AIRES - Il volo AZ atterra come una grande mano delicata, dopo aver sorvolato una città sterminata. Buenos Aires non finisce mai.
Cristina Fernandez e prima di lei suo marito Nestor Kirchner sono planati sull'Argentina del default (2002) con l'obiettivo di risanare, ricostruire, redistribuire. «Mision cumplida», obiettivo raggiunto, dicono alla Casa Rosada. «Un disastro, replica l'opposizione. I dati che governo e opposizione brandiscono sono palesemente divergenti ma, attenzione, sono entrambi di matrice peronista.

Benvenuti in Argentina! Domenica si vota e Cristina Fernandez, 62 anni, lascerà la presidenza; due mandati consecutivi, la consapevolezza d'essersi avvicinata al mito di Evita Peron e il sogno di succedere a Ban Ki-moon, alla segreteria generale dell'Onu. Lascia la Casa Rosada con una popolarità altissima ma con il 60% degli argentini che chiede «un cambio». Come è possibile ? «Amigo, estamos en la fin del mundo», dice Eduardo, titolare di un ristorantino a San Telmo, quartiere bohemienne di Buenos Aires. Opinione condivisa, pur suffragata da strumenti analitici più sofisticati, dai titolari di Poliarchia, un think tank argentino, che produce report.

L'eredità di Cristina
Il kirchnerismo, ennesima mutazione genetica del peronismo, si appresta a lasciare la presidenza dopo 13 anni di governo in cui il sistema di welfare, «di puro assistenzialismo», puntualizza l'opposizione, ha raccolto consensi e rilanciato i consumi. Il prezzo è stato alto: crescita frenata, inflazione al 30% annuo, riserve della Banca centrale prosciugate, da 50 miliardi di dollari a 25. Il testimone sarà raccolto da uno dei tre candidati in corsa, che il Clarin, primo giornale argentino, definisce, «desaborizados», insapori. Tutti e tre con origini italiane, Daniel Scioli, Mauricio Macri e Sergio Massa. Tutti e tre, secondo i programmi annunciati, vorranno stemperare l'assistenzialismo e riproporre un po' di ortodossia nelle politiche economiche. Non troppo per la verità, i benefici del socialismo in salsa argentina sfiorano anche le classi medie che nessun partito politico vuole inimicarsi.

Sussidi per tutti: disoccupati, anziani, famiglie numerose, meno abbienti, riscaldamento, scuola. E poi rinnovi contrattuali in linea con l'inflazione reale, quella che l'Indec, l'Istat argentino, nega. Resta il Paese di 40 milioni di abitanti che produce cibo per 400 milioni e che riesce a farne morire di fame alcune centinaia.
Eppure… la nave va. «Il peronismo non è né di destra né di sinistra. Todo lo contrario», diceva Peron. Un movimento politico potentissimo e ineffabile. Sempre saldo al comando, a parte due brevi finestre temporali, 1983-1987, con Raul Alfonsin e 1999-2001 con Fernando de la Rua, entrambi radicali. «I peronisti non sono né buoni né cattivi, sono incorreggibili» scriveva Borges.

Eppure… la nave Argentina non chiede un'altra gestione del potere. Intraducibile e inspiegabile con le categorie della politica internazionale, il peronismo è magmatico, di centro, di sinistra, di destra. Il “balcone”, la retorica, i sussidi e un pizzico di capitalismo amicale.
Il turbo liberismo – questo è certo – non tornerà a breve. La memoria è ancora fresca, gli Anni 90, quelli del currency board, parità fissa, di uno a uno, tra peso argentino e dollaro. Un ancoraggio al biglietto verde capace di azzerare l'inflazione ma che, esteso oltre ogni ragionevole lasso temporale, provocò una depressione economica sfociata nel default. L'epilogo con gli scontri di piazza, morti e feriti. In sala macchine c'era Domingo Cavallo, ministro dell'Economia del governo di Carlos Menem, durante gli Anni 90. Sulla tolda, incapace di imprimere una direzione, il successore di Menem, l'ex presidente Fernando de la Rua.

I tre candidati «italiani»
Favorito è Scioli, 58 anni, governatore della provincia di Buenos Aires dal 2007, guida la coalizione di centrosinistra. Un bisnonno sbarcato a fine Ottocento da Campobasso, un passato di campione sportivo. È l'erede politico di Nestor Kirchner e di Cristina Fernandez, mai amato né dall'uno né dall'altra, eppure è qui con il suo 38-40% di consensi. Sui manifesti compare a fianco di Cristina, sorridono, lo stilema è «trasformazione nella continuità».
L'antagonista è Mauricio Macri, 56 anni, a quota 28-30% secondo i sondaggi. È figlio di Franco, immigrato dalla Calabria. Di centrodestra, Macri guida “Cambiemos”, coalizione tra la sua Propuesta republicana e i radicali, è sostenuto dagli imprenditori e dalla potentissima lobby degli agricoltori. Proprietario del Boca Juniors con cui cerca di rastrellare i voti dei meno abbienti, eredita un patrimonio inestimabile. con edilizia, sport, editoria, industria mineraria.

Peccato che il padre Franco, ottuagenario sempre operativo, abbia dichiarato che il figlio Mauricio «non sarebbe un buon presidente della Repubblica».
Sergio Massa, 43 anni, sindaco di Tigre, comune di Buenos Aires, è stato delfino di Kirchner ma poi si è scontrato con Cristina. È un peronista di centrodestra e con il suo pacchetto di voti ( 20% circa) potrebbe esser una sorpresa al ballottaggio.
Scioli è favorito ma saranno gli indecisi a dirimere la partita. La legge elettorale prevede che la vittoria vada a a chi ottiene il 45% dei voti al primo turno, oppure il 40% con dieci punti di vantaggio sul secondo. Altrimenti si andrà al ballottaggio del 24 novembre. Chissà. Tre candidati in cerca d'autore. Un grande della letteratura argentina, Julio Cortazar, nel suo “Componibile 62” riflette sulla «continua ricerca di alternative esistenziali». Private e pubbliche.

© Riproduzione riservata