Nel giorno in cui ricorre l’anniversario della nascita della primavera araba, la Libia, uno dei paesi che più ha risentito di quel movimento dal basso scoppiato il 17 dicembre 2010, tenta la pace. Il 17 dicembre di cinque anni fa iniziava la rivolta in Tunisia con il giovane ambulante Mohammed Bouazizi che si dà fuoco per protesta davanti al municipio di Sid Bouzid. Oggi i rappresentanti dei due governi di Tripoli e Tobruk si sono incontrati a Skhirat, in Marocco, e hanno firmato l'accordo politico per formare il governo di unità nazionale nel Paese produttore di petrolio, frantumato dagli scontri tra fazioni rivali che continuano da oltre un anno.
La Libia è l’esempio più lampante del fallimento delle primavere, e anche il Paese arabo la cui destabilizzazione preoccupa di più sia la vicina Europa sia gli Stati Uniti perché l’ex feudo del defunto Gheddafi non solo è stato sinora diviso a metà - il governo di Tripoli in mano agli estremisti islamici e il governo di Tobruk riconosciuto dallla comunità internazionale - ma è anche il Paese più “a rischio Siria” della regione, l’antica città di Sabratha che rischia di fare la fine di Palmira in Siria e pochi giorni fa la notizia di matrice iraniana, quindi di parte, che il califfo al-Baghdadi si troverebbe nella stessa Sirte, città riferimento del califfato in Libia.
In più i colloqui di pace sono bloccati da ottobre, fermi al progetto dell'allora inviato speciale delle Nazioni Unite Bernardino Leon, mediatore dal fine mandato inglorioso perché si è scoperto che mentre lavorava per la Libia metteva a punto i dettagli del suo nuovo lavoro negli Emirati Arabi Uniti (50 mila dollari al mese all'accademia per diplomatici), paese interessato alla sorte della Libia e sponsor di Tobruk.
I colloqui sono ripresi la scorsa settimana con Martin Kobler, neo inviato del segretario generale Onu Ban Ki-moon. Non sembra adesso troppo ottimistica la previsione del capo della diplomazia americana John Kerry espressa alla conferenza di Roma quattro giorni fa secondo cui la Libia avrebbe avuto un governo di unità nazionale entro quaranta giorni. Perché oggi in Marocco dopo le liti e divisioni per le nomine fra i rappresentanti di Tobruk e quelli di Tripoli, è stato firmato l'accordo Onu per dare vita a un governo di unità nazionale. Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni oggi in Marocco ha ricordato che alla conferenza sulla Libia che si è svolta a Roma, «la nuova leadership libica ha firmato un accordo che non è solo un pezzo di carta» ma «un impegno solenne per aiutare il suo popolo».
L’accordo di Skhirat prevede l’istituzione di un consiglio presidenziale col compito di nominare i nuovi vertici della banca centrale e dell'ente petrolifero nazionale. Per superare la rivalità fra i due Parlamenti l'intesa Onu propone di suddividere il potere legislativo fra le due città: a Tobruk una Camera dei rappresentanti per una durata di circa un anno, che dovrebbe essere integrata con alcuni deputati del Parlamento di Tripoli, la capitale ospiterà invece un Consiglio di Stato e una seconda camera consultiva.
Mentre si firma la svolta in Marocco, la Gran Bretagna - scrive il Times di Londra - sarebbe pronta a mandare una truppa di mille uomini e forze speciali nel Paese, la paura è che Daesh si estenda nel Paese. I soldati del Regno Unito lavorerebbero assieme alla missione di 6mila uomini a guida italiana che ha il compito di addestrare e supportare le forze di sicurezza libiche.
L’autoproclamato califfato è dietro l’angolo, dice chiaramente Kobler. «L'Isis rappresenta una sfida per il futuro governo di intesa nazionale. C'è bisogno di un dialogo nazionale globale per trovare un modo per lottare contro i terroristi». Ai delegati di Skhirat dice invece «state cambiando le pagine della storia». «La firma dell'accordo segna l'inizio di una tappa difficile ed è il primo passo per la creazione di uno Stato democratico in Libia», ha proseguito Kobler. Il futuro governo di intesa nazionale libico dovrà «assicurare i bisogni alimentari del popolo libico, iniziare un dialogo sulla sicurezza globale, contribuire alla guerra contro l'Isis, oltre a porre un accento particolare sulla situazione a Bengasi e nel sud del Paese». In precedenza Kobler aveva osservato «un accordo non fa tutti felici, è la parte più difficile di situazioni come questa, abbiamo un 75% che appoggia questa intesa, penso che come percentuale sia un buon inizio». Oggi, ad accordo siglato, ha scritto su Twitter: «le porte rimangono aperte anche per quelli che oggi non erano presenti» a Skhirat. Infine un riconoscimento alla diplomazia italiana: la conferenza di Roma «è stato l'evento internazionale più importante» per arrivare alla firma, ha detto Kobler «la conferenza ha dato l'impulso necessario per arrivare all'accordo, senza sarebbe stato tutto più difficile».
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