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Il «missile virtuale» saudita

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analisi

Il «missile virtuale» di Riad

Arabia Saudita e Iran, le due potenze rivali del Golfo sono ai ferri corti, anzi cortissimi, e l'Occidente non è solo uno spettatore interessato ma insieme alla Russia, alleata di fatto di Teheran, uno degli attori protagonisti di questo conflitto. La Marina da guerra americana e quella francese incrociano nel Golfo, quella russa nel Mediterraneo, i cieli sono sorvolati dai caccia russi e della coalizione occidentale, i Pasdaran iraniani sono in stato di allerta con i missili.

È in questo scenario bellico e di grandi manovre che i sauditi hanno lanciato il loro missile virtuale: già innervositi dall'accordo sul nucleare con l'Iran, che dovrebbe portare a breve alla cancellazione delle sanzioni, poi dall'evoluzione della guerra siriana con la discesa in campo di Putin, i Saud reagiscono alla loro maniera.

Le condanne a morte in Arabia Saudita hanno un obiettivo mirato: dimostrare che quelli giustiziati, anche lo sceicco sciita Nimr al Nimr, sono tutti terroristi. Per questo il numero delle condanne è altissimo, 47 tutte in un giorno, che comprendono sei esponenti della comunità sciita, tra i quali leader delle proteste esplose nel 2011 nelle provincie orientali del regno saudita per chiedere la fine dell'emarginazione delle minoranze religiose. E insieme a loro nella lista dei giustiziati ci sono membri di Al Qaeda e dell'Isis: per giustificare con l'accusa di terrorismo una repressione indiscriminata delle minoranze e di coloro che si oppongono al conservatorismo radicale della casa regnate wahabita.

È evidente che il primo bersaglio è la repubblica islamica dell'Iran, lo stato che si erge a grande protettore degli sciiti in Medio Oriente nel conflitto con i sunniti. Il secondo, per niente secondario, sono ribelli sciiti Houti dello Yemen sostenuti da Teheran, contro i quali Riad sta conducendo un conflitto che per il suo disastroso andamento è diventato una sorta di Vietnam arabo, dove imperversano le bande di Al Qeada e gli attentati dei gruppi affiliati al Califfato.

L'equazione saudita è evidente: sciiti uguali a terroristi. Ma con queste condanne si invia anche un messaggio alla comunità internazionale che accusa non troppo velatamente la casa saudita di avere incoraggiato con la sua ideologia religiosa i gruppi jihadisti del mondo arabo-musulmano. Il Califfato non è un alleato di Riad ma lo sono molti gruppi radicali che combattono nel Siraq, il campo di battaglia siriano e iracheno. Ed è per questo che l'Arabia Saudita prima ha convocato alcuni di questi gruppi dell'opposizione siriana a Riad e poi ha fondato una sorta di “santa alleanza” di stati sunniti anti-terrorismo, che in realtà appare come una coalizione strumentale e assai poco credibile, dalla quale si sono già sfilati alcuni stati come il Pakistan. Le condanne a morte di sciiti e sunniti devono irrorare con il sangue il ruolo saudita anti-terrorismo.

Lo scontro tra Arabia Saudita e Iran, che in Siria è una sorta di guerra per procura in corso dal 2011, appare destinato a incendiarsi, come già dimostrano le prime reazioni da Teheran. Tutto questo in un momento che appare assai delicato: il governo di Baghdad, dove i sauditi hanno appena riaperto dopo 25 anni l'ambasciata, è chiamato alla gestione politica della riconquista di Ramadi, un momento chiave per tentare di ricostruire la fiducia tra sciiti e sunniti. Non solo: si avvicina l'apertura del negoziato Onu sulla Siria dove una delle questioni principali sarà proprio la rappresentanza al tavolo dei gruppi sunniti. E cosa fanno i sauditi? Mandano a morte i leader sciiti del loro Paese.

Il jihadismo doveva essere nei piani delle potenze mediorientali, come Turchia e Arabia saudita, lo strumento per abbattere un regime ostile a Damasco e modificare i confini della Siria di Assad e quelle dell'Iraq sciita: ora appare l'avanguardia della loro stessa disgregazione sul fronte interno ed esterno. L'Iran è nervoso anche per questo: sulla mappa non vede più stati con cui negoziare ma entità vacillanti che gli Stati Uniti hanno incoraggiato passivamente e attivamente verso una deriva bellica e sempre più autoritaria. E più queste entità mostrano aggressività, come la Turchia di Erdogan e la Casa reale dei Saud, e maggiormente dimostrano la loro fragilità, sulla questione araba, curda e delle minoranze religiose e politiche. Qualunque argomento ormai le manda in fibrillazione. Sono senza rete, senza confini sicuri, in parte fuori controllo e si sentono minacciate nella loro stessa esistenza. Ecco perché questi giochi sanguinosi sono diventati senza frontiere, in Medio Oriente e in Europa.

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