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Obama, l’ultimo discorso alla nazione: «L’America è forte, no a odio e paure»

NEW YORK - Barack Obama, con un Discorso sullo Stato dell’Unione che ha privilegiato il peso politico e ideale alle proposte concrete, ha difeso la sua visione dell’America, rivendicata come progressista e inclusiva. Una visione che vorrebbe lasciare in eredità a un successore democratico e contrapposta invece a quella, tacciata di pessimismo e di chiusura, dei candidati repubblicani oggi impegnati a riconquistare la Casa Bianca.

Il presidente, nel suo ultimo appuntamento con il Congresso a Camere riunite, ha definito “robusto” lo stato dell’Unione, affermando che durante la sua leadership ha compiuto importanti passi avanti anche se molto lavoro resta da fare. E ha lanciato un appello per una «politica migliore», che sappia guidare un Paese capace sul fronte economico di incoraggiare la crescita e l’innovazione combattendo pericolose diseguaglianze. Come, sul fronte della sicurezza nazionale, in grado di sconfiggere il terrorismo - Isis va “distrutto” - senza cadere nella trappola della paura. Senza cioè dichiarare terze guerre mondiali né ritenere Isis una minaccia per l’esistenza stessa della nazione, e senza insultare o discriminare i musulmani. Un attacco non troppo velato ai toni ultra-aggressivi scelti da portabandiera repubblicani quali Donald Trump e Ted Cruz, in testa ai sondaggi del loro partito, che invocano bombardamenti a tappeto e blocco dei confini.

Obama ha riconosciuto la frustrazione, l’alienazione e i timori di molti americani in un’epoca al centro di grandi trasformazioni economiche spronate dalla tecnologia e dalla globalizzazione. Viviamo, ha detto, in tempi di «straordinario cambiamento che trasforma il modo come viviamo, lavoriamo, il nostro pianeta e il nostro ruolo nel mondo». Al suo cospetto, ha avvertito, «ci saranno voci che inviteranno a dividerci in tribù, a trattare come capri espiatori altri cittadini che hanno un aspetto diverso dal nostro, che non pregano come noi, con votano diversamente, che non hanno la nostra stessa provenienza». Ma «non possiamo permetterci di seguire questa strada - ha continuato -. Non ci porterà all’economia che vogliamo, alla sicurezza che desideriamo, e soprattutto contraddice tutto ciò che il mondo ci invidia».

Obama ha ricordato che gli Stati Uniti «sono passati in altri momenti attraverso grandi fasi di cambiamento, guerre e depressioni, influsso di immigranti, lavoratori in lotta per migliorare le loro condizioni e movimenti per espandere i diritti civili. Ogni volta ci sono stati coloro che hanno invitato ad aver paura del futuro, a frenare il cambiamento, promettendo di restaurare glorie passate se solo avessimo messo sotto controllo qualche idea o gruppo minaccioso».

Ha invece chiesto agli americani di rispondere diversamente: «Risponderemo ai cambiamenti del nostro tempo con la paura, ritirandoci al nostro interno e combattendoci l’un l’altro? Oppure affronteremo il futuro con fiducia in chi siamo e cosa crediamo e negli incredibili obiettivi che possiamo raggiungere?”. Il futuro auspicabile - a portata di mano - è fatto di opportunità e sicurezza per le nostre famiglie, standard di vita in crescita e un pianeta pacifico e sostenibile per i nostri figli e potrà realizzarsi solo se lavoriamo assieme, se avremo dibattiti razionali e costruttivi. Se aggiustiamo la politica».

Sul palcoscenico internazionale, con rischi che derivano da stati falliti piuttosto che da tradizionali nemici, Obama ha sottolineato che gli Stati Uniti restano la principale potenza militare oltre che economica al mondo ma che non possono agire da “gendarme” globale. E ha difeso i suoi sforzi diplomatici e multilaterali quale segno della forza della leadership americana: dal disgelo con Cuba all’accordo sull'effetto serra a Parigi fino all'intesa nucleare con l’Iran.

Le parole del presidente sono state accolte con freddezza e piogge di critiche dall’opposizione repubblicana. «Il presidente spesso non è stato all’altezza delle sue promesse - ha detto il governatore della South Carolina Nikki Haley, potenziale aspirante alla vicepresidenza alla quale è stata affidata la risposta ufficiale del partito -. Molti americani soffrono tuttora per un’economia troppo debole per risollevare i redditi. Peggio: abbiamo davanti la più grave minaccia terroristica dall'11 Settembre e il presidente appare incapace di affrontarla». Un presidente repubblicano, ha incalzato, ridurrà le tasse e la spesa del governo e sosterrà le forze armate. E «raggiungerà accordi internazionali celebrati da Israele e attaccati dall'Iran, non viceversa».

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