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Il divorzio economico tra Francia e Germania

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analisi

Il divorzio economico tra Francia e Germania

«Divorzio tra la Francia e la Germania», ha titolato in prima pagina nei giorni scorsi Les Echos. Il divorzio si riferisce alla divergenza, mai così marcata, tra le due più grandi economie dell’eurozona, soprattutto in materia di conti pubblici e lavoro. La Germania aveva appena consegnato alle statistiche dati buoni su Pil, occupazione e bilancio, tali da suscitare un sussulto di invidia e frustrazione in chi, come il governo francese, sta cercando invano da anni di rilanciare la crescita e riportare sotto controllo il deficit pubblico.

Il piano presentato ieri da François Hollande è il piano della disperazione, venduto nel nome di un dichiarato «stato d’emergenza economico e sociale», per usare le sue stesse parole. Oltre due miliardi per finanziare la formazione professionale di un milione di disoccupati e incentivare le assunzioni nelle Pmi. Nulla di più facile che Parigi, nonostante le promesse dell’Eliseo di reperire i fondi da tagli alla spesa, non si presenti nemmeno al 2017 all’appuntamento degli obiettivi concordati con Bruxelles - e sempre disattesi negli ultimi otto anni - di un rapporto deficit/Pil al 3 per cento.

La Germania nel frattempo trasforma la distanza in abisso: allo sforamento cronico del disavanzo francese, atteso nel 2015 al 3,8%, contrappone nello stesso anno un surplus di 12,1 miliardi; a un tasso di disoccupazione del 10,6% risponde con un regime di piena occupazione (5%). Parlare di integrazione europea e più in dettaglio di integrazione dell’unione monetaria e avere le due grandi economie dell’eurozona agli antipodi su questi e altri indicatori chiave dello stato di salute congiunturale, significa avere un problema in più, fra i tanti. Significa che l’asse politico tra i due Paesi continua ad essere fortemente sbilanciato e che il potere contrattuale di Parigi nei confronti di Berlino resta minimo, in un’Europa nella quale temiamo e/o presumiamo, a torto o a ragione, un certo tipo di egemonia tedesca.

La Francia e la sua economia rischiano di sprofondare nell’incoerenza che ha contraddistinto l’ultimo decennio politico, tanto per non attribuire l’origine di tutti i mali al povero Hollande. C’è stato l’autocompiacimento dell’era Chirac, contraddistinta anche da un periodo di coabitazione con la sinistra al governo. È poi arrivato l’”uomo dei miracoli”, Nicolas Sarkozy, e la promessa di una spettacolare rupture con il passato si è persa tra la crisi di Lehman, poi dell’eurozona e nel vano tentativo di rimuovere le 35 ore. Certo non ci si poteva aspettare che sarebbe toccato a un presidente socialista stravolgere le rigidità – ormai uniche in Europa – del mercato del lavoro francese. Ed ecco scavato, nell’arco di 15 anni, un solco economico ormai difficile da riempire. Parigi in questi anni si è presa una flessibilità di bilancio che altri Paesi, Italia per prima, hanno dovuto strappare con i denti e con le unghie. Il risultato di questa flessibilità è stato trascurabile sulla crescita economica, pressoché nullo sui livelli occupazionali. E anche l’ultimo piano di Hollande rischia di essere solo un disperato tentativo di rielezione nel 2017.

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