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Yellen congela i tassi e frena sui prossimi rialzi

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POLITICA MONETARIA USA

Yellen congela i tassi e frena sui prossimi rialzi

Janet Yellen (Ap)
Janet Yellen (Ap)

Il rialzo dei tassi Usa può attendere. La Federal Reserve ha lasciato i Fed funds invariati nella fascia compresa tra lo 0,25% e lo 0,50%. La banca centrale americana ha dunque deciso di optare per lo status quo in attesa di avere segnali più chiari sull'evoluzione delle prospettive dell'economia nazionale alla luce del rallentamento globale.

I membri del Fomc, il comitato di politica monetaria, hanno inoltre rivisto al ribasso le proiezioni sui tassi d’interesse nel 2016, 2017 e 2018, a conferma della grande prudenza con la quale la banca centrale intende normalizzare la sua politica monetaria, come ha ammesso la stessa presidente Janet Yellen in conferenza stampa. La media delle previsioni ora indica un tasso ufficiale dello 0,875% alla fine del 2016, il che comporta due soli rialzi di un quarto di punto contro i quattri previsti lo scorso dicembre. La decisione di lasciare invariati i Fed funds è stata presa quasi all’unanimità; un solo membro del Fomc su dieci -Esther L. George, presidente della Federal Reserve di Kansas City - ha votato contro e avrebbe optato per un rialzo di un quarto di punto.

La Fed ha anche tagliato le stime sulla crescita dell'anno in corso. Per il 2016, la Banca centrale attende una crescita del prodotto interno lordo al 2,2%, mentre a dicembre aveva previsto un rialzo del 2,4%. Rivisto al ribasso anche il tasso di inflazione, che dovrebbe attestarsi all'1,2% nel 2016 (contro l’1,6% previsto a dicembre). Stabili all'1,9% le stime per l'inflazione nel 2017. Quest'anno il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi al 4,7%, in linea con quanto previsto a dicembre.

La revisione al ribasso dell’outlook economico e la grande cautela sui prossimi rialzi dei tassi hanno avuto un impatto immediato sui mercati, con l’euro balzato a 1,12 dollari, Wall Street in rialzo e il petrolio in forte ripresa.

«Una serie di recenti indicatori - afferma la Fed - segnalano un rafforzamento del mercato del lavoro e l’inflazione è risalita negli ultimi mesi. Tuttavia gli sviluppi economici e finanziari a livello globale continuano a rappresentare dei rischi e l’inflazione resterà bassa nel breve periodo».

La Fed ha alzato i tassi per la prima volta dopo nove anni lo scorso dicembre, portandoli a 0,25-0,50 per cento. Nella successiva riunione di gennaio ha invece lasciato invariati i Fed funds.

Le decisioni di oggi confermano che la politica monetaria della banca centrale più potente al mondo viene oggi tenuta sulle spine dai mercati. Ma, in realtà, la Federal Reserve è ostaggio soprattutto di un mercato, quello del dollaro. Certo, la Fed ufficialmente tiene le dovute distanze dalle valute. I suoi governatori, però, ammettono ormai apertamente di tenere sotto strettissima quanto rispettosa osservazione l’andamento del biglietto verde nella difficile impresa di capire se e quando alzare i tassi di interesse. Perché la spirale del suo rafforzamento è oggi più che mai ciò che complica i disegni di Janet Yellen di una graduale normalizzazione della politica monetaria.

E il rischio di nuove tensioni e scalate del dollaro rimane nei fatti, non solo nella percezione. L’ultima, e più aggressiva del previsto, manovra a base di tassi negativi e rilanciato Qe da parte della Banca centrale europea ha visto dollaro e euro reagire con un frenetico rincorrersi, con avanzate e retromarce simbolo della confusione e volatilità che giorno sì e l’altro pure regna tra gli investitori. Guardando a un orizzonte più ampio, tuttavia, la divisa americana è reduce da un biennio di generali rialzi su un paniere composto dalle maggiori divise - del 9% nel 2015 - e da gennaio al netto di sbalzi e melodrammi è cambiata di poco. Sull’euro è sì in calo di circa il 6% in dodici mesi, ma dopo una marcia a tappe forzate di due anni. Adesso la confermata divergenza di politiche monetarie tra Stati Uniti da una parte e Europa e Giappone dall’altra, sommata con le migliori condizioni rispetto ad altri paesi sviluppati della ripresa statunitense, garantisce un sostegno di fondo.

La schiarita economica ha fatto tornare di getto anche una maggior propensione al rischio sui mercati. Wall Street è reduce da quattro settimane di guadagni, i titoli bancari hanno riconquistato terreno dopo essere stati penalizzati dai tassi a zero, i treasuries decennali, beni rifugio per eccellenza, hanno ripiegato verso rendimenti del 2% per la prima volta da gennaio.

Tutto questo potrebbe a prima vista facilitare la missione della Fed di riprendere il suo desiderato cammino di graduali strette dopo il finora isolato intervento dello scorso dicembre. Ma soltanto a condizione che il dollaro si riveli un gradevole partner in quella “strana danza” tra tassi e valute.

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