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Palmira liberata, ma nessuno mai l’aveva sfregiata come l’Isis

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Palmira liberata, ma nessuno mai l’aveva sfregiata come l’Isis

(Afp)
(Afp)

Oggi è un volo di drone sul web, dopo la riconquista da parte dei soldati di Assad, a restituirne la visione ma per chi l'ha avvistata in una distesa vasta e silenziosa, tra sabbia e rocce, Palmira appariva come i resti fragili e solenni di un'astronave perduta nello spazio che aveva viaggiato nel tempo per depositarsi davanti ai posteri. Aveva già quattro millenni di storia, all'incrocio delle civiltà assire, greche, persiane, quando vi arrivarono i romani. Perché Tadmor, la città delle palme, esisteva da sempre, potente centro di vita e di collegamento tra il Mediterraneo e l'Oriente.

Per Palmira da ora in poi ci sarà sempre un prima e dopo Isis: nessuno l'aveva mai sfregiata come hanno fatto in questi dieci mesi di occupazione i jihadisti del Califfato.

Liberata dal regime di Damasco con l'appoggio dell'aviazione russa, Palmira appare in condizione meno disastrose di quanto ci si potesse aspettare, almeno secondo quanto dichiarato dal direttore delle antichità siriane Maamoun Abdulkarim. Ma i templi di Bel e Baal Shamin hanno subito danni gravissimi mentre sono quasi intatti l'Agorà, il teatro romano, le mura e buona parte delle colonne. L'Isis ha razziato le vestigia che si potevano trafugare e vendere sul mercato nero e a partire da fine agosto scorso, in un atto di stolido affronto alla storia e alla cultura, ha fatto saltare in aria, cancellandoli uno dopo l'altro, i templi più belli, le tombe a torre romane, l'arco di trionfo, come avevano fatto mesi prima in Iraq a Nimrud e Ninive.

Cancellare la storia pre-islamica e le radici del passato vuol dire lasciare Paesi come la Siria e l'Iraq senza un futuro e un'identità da dove ripartire per una ricostruzione che non sia soltanto materiale ma anche morale. Lo è sempre, ma in questi casi ancora di più, la cultura ha un profondo significato politico e sociale.

È tra la magia di questi edifici millenari, di statue come il celebre Leone di Al-Lat, che oggi viene ricordato Khaled Asaad, 81 anni, uno dei massimi esperti siriani di antichità ed ex direttore del sito archeologico, decapitato e appeso a un palo della luce dai miliziani dell'Isis.

Poteva probabilmente andarsene prima che il 20 maggio scorso il Califfato si impadronisse di Palmira dopo un lungo assedio. Sapeva sicuramente di essere nel mirino: i jihadisti lo hanno torturato nel tentativo di estorcergli eventuali reperti nascosti ai saccheggi, per distruggerli o più probabilmente venderli sul mercato clandestino. Possiamo soltanto immaginare che cosa lo abbia spinto a rimanere con la famiglia nella morsa dello Stato Islamico: lontano da qui non avrebbe potuto continuare a vivere, ha preferito affrontare il rischio e morire tra quelle colonne vetuste ma ancora salde, piantate nella sabbia come le sue convinzioni, che erano state tutta la sua ragione di vita.

In questi giorni forse anche i più disattenti riflettono su come gli Stati Uniti e i governi europei abbiano contribuito a scoperchiare il “vaso di Pandora” del radicalismo islamico. Le forze di Assad, dopo avere riconquistato Palmira, sono pronte all'offensiva su Raqqa, capitale del Califfato. Che cosa sarebbe accaduto se anche Assad avesse fatto la fine di Gheddafi e Putin non fosse intervenuto al suo fianco?

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