«Panama resta un buco nero, il più grande buco nero, ed è un serio problema». Così un esperto di paradisi fiscali si è espresso davanti agli uomini del Tax Justice Network che preparavano la nuova edizione del Financial Secrecy Index, l'elenco delle più importanti giurisdizioni segrete del mondo. Alla fine il piccolo paese centramericano ha guadagnato la tredicesima posizione in una lista che nel 2015 vede la Svizzera al primo posto ma si è posizionato proprio sotto la Confederazione elvetica nella classifica della segretezza.
È questa la chiave che ha sancito il successo di Panama tra i paradisi fiscali internazionali: la segretezza. Il paese del Canale resta un “buco nero” perché non partecipa agli accordi per lo scambio di informazioni fiscali, anche se ha recentemente manifestato l'intenzione di aderire, e si è dotato di una legislazione simile a quella svizzera, che punisce la violazione del segreto bancario e finanziario. È per questo motivo che le rivelazioni dell'International consortium of investigative journalists (Icij) pubblicate in Italia dall'Espresso sulla rete di una delle più importanti law firm del paese, la Mossack Fonseca, aprono uno squarcio importante sul velo di segretezza che copre il ruolo di Panama nel mondo delle piazze finanziarie offshore.
Panama è diventata in questi anni la “Hong Kong dell'America latina”, la “sin city”, il crocevia del riciclaggio dei soldi dei narcotrafficanti colombiani e venezuelani. Il Fondo monetario Internazionale in un recente report lancia l'allarme sulla vulnerabilità di Panama «al riciclaggio» dei soldi della droga, delle frodi fiscali e finanziarie, mentre per Pascal Saint Amans, direttore del Centro per la politica fiscale dell'Ocse, «Panama è l'unico posto dove la gente pensa ancora di poter nascondere i propri soldi».
I dati della crescita vertiginosa delle società registrate nel paese spiegano meglio di ogni altra cosa il ruolo che Panama ha assunto nel mondo dell'offshore. Sebbene tutto ciò sia perfettamente legale, l'escalation degli ultimi anni fa temere che il paese stia attraendo interessi non sempre puliti. Nel registro del commercio di Panama sono registrate più di 350mila International business companies (Ibc), società che offrono sicuri vantaggi in termini di flessibilità e riservatezza ma soprattutto fiscali. Si tratta della concentrazione più elevata al mondo di Ibc dopo Hong Kong e dopo le Isole vergini britanniche.
Creare una società a Panama è un'operazione semplicissima. La spesa per l'incorporazione è di circa 1.200 dollari, ai quali vanno aggiunti 300 dollari per coprire le tasse statali e altre poche centinaia per pagare i professionisti che siederanno nel consiglio di amministrazione e fungeranno da schermo dietro i quali si celeranno i reali proprietari.
Ma il fattore più attrattivo per evasori fiscali e personaggi corrotti è che le azioni possono essere al portatore. Il proprietario della società, cioé, è chi di volta in volta possiede fisicamente i titoli. Le azioni, insomma, sono come un biglietto da dieci euro: cambiano proprietario a seconda di quale tasca li contiene. È logico pensare che in presenza di un sistema del genere, Panama sia diventato il perfetto paradiso per riciclatori di ogni sorta.
Nel suo report del 2014 il Fondo monetario internazionale sottolinea come nel Registro pubblico di Panama manchino le informazioni sulla proprietà e sul controllo delle società, incluse le società con azioni al portatore. Solo le pressioni internazionali hanno spinto il paese ad approvare una legge che ha imposto, a partirte dal 2015, la custodia - generalmente in banca - dei titoli al portatore. Le società registrate prima del 2013, però, potranno adeguarsi alla nuova norma solo alla fine del 2018. Il deposito delle azioni al portatore non rivela comunque l'identità del proprietario reale dei titoli. Le informazioni sugli azionisti delle società sono note solo ai cosiddetti “agenti residenti”, cioé ai professionisti delle law firm come Mossack Fonseca, ma - nota il Fmi - le Unità di informazione finanziaria e le autorità anti-riciclaggio non hanno accesso a queste informazioni, soprattutto se la documentazione non è conservata fisicamente a Panama ma è custodita in altri paradisi fiscali. Non solo. Le autorità panamensi hanno un accesso limitato alla documentazione relativa ai trust esistenti nel paese e non esistono disposizioni che consentano un efficace accesso alle informazioni sui loro reali beneficiari.
Un ulteriore elemento che rende Panama un paradiso non solo fiscale ma anche penale attrattivo è che la legge panamense concede solo 60 giorni di tempo agli inquirenti per portare avanti delle investigazioni preliminari (ai quali si aggiunge un altro termine di 10 giorni) prima che i magistrati siano obbligati ad avvisare gli indagati dell'esistenza di un'inchiesta a loro carico. È chiaro che queste limitazioni temporali pregiudicano sin dall'inizio l'efficacia delle indagini e dunque l'annuncio che il governo di Panama «coopererà con forza» assicurando ogni «assistenza necessaria» in caso di apertura di procedimenti giudiziari legati alla rete della Mossack Fonseca va preso con cautela se si considerano i buchi nella legislazione e nell'azione di contrasto delle autorità panamensi.
Ma cosa accade in caso di rogatorie internazionali, cioè in caso di richieste di assistenza da parte dei paesi che dovessero avviare inchieste giudiziarie sulla base delle rivelazioni sulla Mossack Fonseca? La legge panamanese permette la trasmissione di documenti alle autorità straniere solo dopo un espresso consenso di un tribunale panamense. I trattati di scambio di informazioni firmati dal governo di Panama riguardano soltanto reati legati al traffico di droga, non quelli di origine fiscale. È uno dei motivi che ha sancito il successo di Panama come paradiso fiscale, insieme alla severa legge sul segreto bancario e all'assenza di imposte sui redditi realizzati all'estero dalle persone fisiche e sulle società. Bisognerà vedere adesso quanto i “Panama papers” saranno in grado di cambiare questa situazione.
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