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Quattro leader per la Spagna di nuovo al voto

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alle urne il 26 giugno

Quattro leader per la Spagna di nuovo al voto

Rajoy-Sanchez-Iglesias-Rivera. Divisi da (quasi) tutto. Ma molto più simili di quanto si possa pensare: nel carattere e nelle ambizioni se non nelle idee. Uniti nel fallimento politico della Spagna che non è riuscita a trovare una coalizione stabile e nemmeno un governo di minoranza in quattro mesi di trattative. Assieme protagonisti di una nuova e inedita fase della politica spagnola che oggi appare incerta e rischiosa ma che a Madrid ha visto la democrazia sbloccarsi, aprendo spazi ai movimenti emergenti oltre che al rinnovamento dei partiti tradizionali. E non è detto sia un male.

La gravissima crisi economica - con la disoccupazione salita sopra il 26% - ha lasciato segni difficili da cancellare nella vita delle famiglie. La ripresa che si va consolidando ad ogni trimestre - e la disoccupazione è ancora al 21% - sta emarginando le fasce più povere della popolazione. Gli scandali di corruzione hanno tolto fiducia e speranze ai cittadini. Lo scontro sull'indipendenza della regione più ricca, la Catalogna, ha fatto nascere dubbi sulla tenuta stessa dello Stato. Rajoy-Sanchez-Iglesias-Rivera, chi sono i quattro leader che con le loro decisioni determineranno il governo e qualcosa di più per il futuro di una Spagna che negli ultimi sette anni è cambiata più che in tutta la sua storia democratica precedente? In loro le categorie tradizionali destra e sinistra si sommano alla rottura tra vecchio e nuovo, tra la casta e i movimenti nati dalla protesta di piazza e dall'indignazione della società civile.

Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy. (AFP PHOTO / CURTO DE LA TORRE)

Mariano Rajoy, politico di lungo corso, 61 anni di Santiago de Compostela in Galizia. Testardo quanto Iglesias, ideologicamente vicino a Rivera. Alla guida del governo conservatore negli ultimi quattro anni, ha dovuto gestire la peggiore crisi economica mai vista. E lo ha fatto a suo modo, mantenendo un basso profilo e seguendo strettamente le direttive dell'Unione europea. Ha realizzato profonde (e ancora controverse) riforme, a cominciare da quella del mercato del lavoro e dal sistema bancario. È il nemico numero uno degli indipendentisti della Catalogna. Punta sulla voglia di stabilità e sulla ripresa economica. Nessuno, fin qui, ha voluto coalizzarsi con lui. E lui non intende fare passi indietro.

Il leader socialista Pedro Sanchez. (EPA/Mariscal)

Pedro Sanchez, 44 anni di Madrid, è stato eletto segretario generale socialista nel 2014 dopo che il partito socialista era sceso ai minimi storici nei consensi. Professore universitario di Economia, grande presenza sul palco e in televisione. Dovrebbe per tradizione guardare a sinistra ma non si fida di Iglesias. Cerca di marcare la differenza con il vecchio corso proponendo un profondo rinnovamento pur nella tradizione della sinistra moderata spagnola. Ha ribadito il no a Rajoy ma sta soffrendo l'avanzata di Podemos. Sulla Catalogna è aperto al dialogo per trovare una soluzione condivisa.

Il leader di Podemos Pablo Iglesias. (AFP PHOTO / GERARD JULIEN)

Pablo Iglesias, 37 anni di Madrid, già professore universitario di Scienze politiche, politologo e star di alcuni talk-show televisivi. Con Podemos è il principale protagonista della rottura e del cambiamento della politica spagnola. Ha saputo raccogliere e mettere assieme le diverse anime della protesta degli indignados che ha riempito le piazze del Paese negli anni della grande crisi economica. Formazione comunista, Erasmus a Bologna, codino e sorriso accattivante. Studioso della comunicazione politica con notevole capacità oratoria nei comizi. Tiene la posizione del duro e puro ma rischia di mandare in fumo i voti degli suoi elettori. È per il diritto a decidere della Catalogna.

Il leader del movimento di centro e liberista Ciudadanos , Albert Rivera. (AFP PHOTO / GERARD JULIEN)

Albert Rivera, 36 anni, catalano di Barcellona, è il leader del movimento di centro e liberista Ciudadanos fondato in Catalogna per contrastare le spinte secessioniste della regione e presto diventato un protagonista della politica nazionale. Avvocato con un master in Diritto costituzionale, è nuovo come Iglesias, sembra rigido e un po' impostato come Rajoy, ha firmato un patto con Sanchez ma forse quella firma non vale più. Moderato, pro Europa e pro mercato, si batte contro la corruzione. Sogna di fare l'ago della bilancia in una grande coalizione.

La campagna elettorale che porterà alle nuove elezioni del 26 giugno è iniziata da tempo, forse non è mai finita. E i sondaggi dicono che gli spagnoli sono incerti, che il Parlamento potrebbe restare frammentato e appeso come quello appena sciolto da re Felipe VI, che soprattutto, gli elettori decideranno nelle ultime settimane, negli ultimi giorni prima di andare al seggio. E allora, tutti contro tutti. Sono in discussione i rapporti con l'Europa, una crescita economica più sostenibile e senza bolle speculative, la reindustrializzazione del Paese, le regole del mercato del lavoro, gli equilibri del welfare, il sistema Stato-Regione, le rivendicazioni dei movimenti separatisti regionali. Rajoy-Sanchez-Iglesias-Rivera: il premier sarà uno di loro, con quale coalizione e quale forza nessuno lo può sapere

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