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La Spagna vota il 26 giugno ma l’incertezza regna sovrana

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giochi aperti a madrid

La Spagna vota il 26 giugno ma l’incertezza regna sovrana

Pedro Sanchez (Afp)
Pedro Sanchez (Afp)

La Spagna tornerà a votare il 26 giugno. Dopo oltre quattro mesi di tentativi a vuoto i leader politici hanno ammesso il loro fallimento, la loro incapacità di trovare un accordo per formare un governo. Gli spagnoli saranno chiamati nuovamente alle urne ma secondo tutti i sondaggi, anche dal voto della prossima estate potrebbe uscire un Parlamento frammentato e senza una maggioranza chiara. La campagna elettorale è già iniziata da tempo. E i giochi sono apertissimi: secondo il Cis, il Centro spagnolo per la ricerca sociologica, il 36% degli elettori avrebbe deciso solo nel corso della campagna elettorale come votare lo scorso 20 dicembre.

Il socialista Pedro Sanchez ha fatto sapere che non entrerà mai in una coalizione che comprenda il Partito popolare che con Mariano Rajoy ha governato dal 2011. Lo stesso Rajoy e il leader di Ciudadanos Albert Rivera chiedono che si arrivi a una coalizione responsabile. Mentre Pablo Iglesias sta cercando di coalizzare attorno a Podemos tutte le forze più a sinistra dei socialisti. Non è dunque per nulla scontato che dopo il 26 giugno sarà più facile avviare i negoziati per superare i veti incrociati fra le quattro principali formazioni politiche.

La gravissima crisi economica sofferta dal 2009 al 2013 ha cambiato la Spagna. Gli scandali di corruzione, dentro i partiti e nelle amministrazioni di ogni livello, hanno alimentato la sfiducia dei cittadini nella politica. Lo scontro sull’indipendenza della regione più ricca, la Catalogna, ha fatto nascere nuovi dubbi anche sulla tenuta stessa dello Stato. Alle categorie tradizionali destra e sinistra si sono sommate così la rottura tra vecchio e nuovo, tra la cosiddetta casta e i nuovi movimenti nati dalla protesta di piazza e dall'indignazione della società civile. Il Partito Popolare e il Partito socialista, che hanno governato negli ultimi quarant’anni, hanno perso la metà dei loro consensi. La protesta ha scosso per sempre la tranquillità del bipartitismo. Podemos ha raccolto le rivendicazioni degli indignados e chiede un cambiamento radicale, che partendo da posizioni di sinistra reclama un nuovo modello di sviluppo per la Spagna e per l’Europa. Ciudadanos, il movimento centrista e unionista nato in Catalogna, promette una svolta liberista-soft e insiste nella battaglia contro la corruzione e la cattiva amministrazione della cosa pubblica.

«Non faremo mai un patto con i popolari, siamo un partito radicalmente diverso», ha ribadito durante il comitato federale del partito di sabato, il leader socialista Sanchez. Mentre Rajoy puntando sulla stabilità spera in una crescita, anche piccola, del suo partito che possa sbloccare la situazione, portando a un’alleanza con Ciudadanos e alcune forze minori: nel voto dello scorso dicembre quello conservatore era stato il partito più votato, ma aveva perso la maggioranza assoluta. «Quello che è successo in questi quattro mesi non si deve ripetere, i veti sono una cosa negativa per la democrazia», ha detto Rajoy riferendosi al leader socialista Sanchez. In calo nei sondaggi, Podemos ha iniziato intanto trattative per allearsi con il partito storico della sinistra radicale, Izquierda Unida, e sta lavorando per fare accordi con altre piccole forze a sinistra, fra cui i nazionalisti delle Baleari e gli animalisti anti corrida del Pacma. Ciudadanos spera invece che l’atteggiamento pragmatico del suo leader durante le trattative sia premiato dagli elettori: non è chiaro però se verrà riproposto l’accordo di governo che era stato raggiunto con i socialisti, ma che non aveva raggiunto la maggioranza necessaria in Parlamento.

L’economia spagnola intanto non sembra sotto pressione. Lo spread anche negli ultimi mesi di stallo non ha segnalato particolari tensioni sui mercati finanziari. La crescita si è mantenuta solida anche nel primo trimestre del 2016 e probabilmente l’attività economica si modererà solo gradualmente nei prossimi trimestri, con un Pil che - secondo le stime di oggi della Commissione Ue - dovrebbe comunque chiudere il 2016 in aumento almeno del 2,7 per cento. Il governo di Madrid ha tuttavia ammesso che anche quest’anno non rispetterà gli obiettivi di risanamento definiti con Bruxelles, dopo aver chiuso il 2015 con un deficit di bilancio superiore al 5% del Pil contro l’atteso 4,2 per cento. E la Commissione europea sarebbe sul punto di prendere provvedimenti.

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