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Scioperi in Francia: Valls apre a cambiamenti della legge

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contro la riforma del lavoro

Scioperi in Francia: Valls apre a cambiamenti della legge

Gli scontri a Fos-sur-Mer, vicino a Marsiglia
Gli scontri a Fos-sur-Mer, vicino a Marsiglia

PARIGI. All’ennesima giornata di proteste, il governo francese ha aperto la porta a cambiamenti della controversa legge di riforma del mercato del lavoro. Il premier Manuel Valls, in un’intervista, ha escluso un ritiro del provvedimento come chiedono i sindacati ma ha detto che sono possibili «miglioramenti». Con un quinto dei distributori di benzina a secco in tutta la Francia, file chilometriche negli altri e il rischio che il blocco delle raffinerie e dei depositi prosegua, il governo aveva autorizzato ieri i petrolieri francesi dell’Ufip a usare le riserve strategiche del paese in grado di garantire rifornimenti per 4 mesi.

Da mercoledì sera uno sciopero di 24 ore proclamato dai lavoratori delle centrali nucleari ha rallentato la produzione nei 19 impianti del paese con il rischio, imminente, di black-out elettrici. L’obiettivo dei sindacati radicali (primo tra tutti la Cgt, l’organizzazione vicina ai comunisti e alla sinistra socialista) ormai è chiaro: paralizzare la Francia alla vigilia degli Europei di calcio che inizieranno il 10 giugno, prendere in ostaggio i cittadini e costringere così il Governo a ritirare la legge di riforma del mercato del lavoro.

Martedì mattina, all’alba, la polizia è intervenuta per rimuovere i blocchi del sito petrolifero di Fos-sur-Mer (raffineria e deposito di carburante) nei pressi di Marsiglia. Ci è riuscita dopo due ore di tafferugli, con l’uso di idranti e lacrimogeni. Mercoledì mattina è stato attuato un nuovo blitz per sbloccare il deposito di carburante di Douchy-les-Mines. La Cgt – primo sindacato del settore – ha reagito proclamando uno sciopero in tutte e otto le raffinerie francesi. Mentre martedì sera è iniziata la protesta al terminal di Le Havre, dal quale passa il 40% delle importazioni di greggio e da questa mattina è previsto il fermo dell’intero porto di Marsiglia (con decine di navi ferme al largo in attesa di scaricare).

E poi è stato un crescendo: sciopero a tempo indeterminato dal 31 maggio nelle ferrovie e dal 2 giugno nei trasporti pubblici parigini (che comprendono le linee da e verso la cintura, quelle utilizzate dai pendolari); paralisi del traffico aereo dal 3 al 5 giugno. Iniziative che si aggiungono a quelle già annunciate: giornata di protesta, con cortei e manifestazioni, giovedì (l’ottava dal 9 marzo) e un’altra, con scioperi e manifestazione nazionale a Parigi, il 14 giugno, in concomitanza con la presentazione della legge al Senato. Con l’ormai consueto corollario di disagi per i viaggiatori e di violenze da parte dei black bloc.

“Se qualcuno vuole prendere in ostaggio le nostre strutture industriali, bisogna interrogarsi se è giusto continuare a investire”

Patrick Pouyanné, presidente di Total 

La penuria di carburante – che il Governo comunque insiste nel negare, invitando gli automobilisti a non stoccare benzina e gasolio – si sta pian piano estendendo: le stazioni di servizio a secco sono ormai oltre 4mila su 12mila. E i primi problemi si stanno registrando anche nelle attività produttive. Le Camere di commercio e la Federazione delle imprese delle costruzioni hanno chiesto al Governo di intervenire «urgentemente per smantellare i blocchi». Di svolgere insomma «il suo compito di garante dell’ordine pubblico per evitare che una ripresa economica già fragile venga ostacolata dal radicalismo di movimenti corporativi e ideologici». Magari procedendo alla requisizione delle raffinerie, come aveva fatto nel 2010 Nicolas Sarkozy in risposta alle proteste contro la riforma delle pensioni.

Il presidente François Hollande, il premier Manuel Valls e il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve assicurano che la polizia interverrà e la situazione verrà ricondotta alla normalità, ma è evidente che tentennano di fronte al rischio di una generalizzazione delle proteste e all’ingresso in campo anche dei sindacati riformisti, preferendo puntare all’isolamento della Cgt. Il cui segretario Philippe Martinez – che si atteggia ormai a leader dell’opposizione - ha parlato di «comportamento pericoloso da parte del Governo».

Ferme tutte le otto raffinerie francesi

Patrick Pouyanné, presidente del gruppo Total - al quale appartengono sei delle otto raffinerie e che sta perdendo 45 milioni a settimana - è intervenuto per avvertire che la società sarà costretta a riesaminare il suo programma di investimenti in Francia. Va ricordato che l’anno scorso Total aveva deciso di destinare circa 600 milioni alla modernizzazione dei suoi impianti, 400 dei quali nella raffineria di Donges. «Se qualcuno – ha detto Pouyanné – vuole prendere in ostaggio le nostre strutture industriali, per ragioni che non hanno nulla a che fare con l’azienda, bisogna interrogarsi se è giusto continuare a investire. Si tratta in qualche modo della rottura di un patto tra il gruppo e i suoi dipendenti. Questo ci condurrà inevitabilmente a riesaminare seriamente i nostri piani».

Certo è che questo ennesimo braccio di ferro, questo ennesimo scontro sui tentativi di riformare il Paese, darà un’altra mazzata all’immagine della Francia e alla sua attrattività rispetto agli investitori internazionali. Proprio ieri Ernst&Young ha pubblicato l’annuale rapporto sugli investimenti diretti esteri. Dal quale risulta che dei principali Paesi europei, nel 2015 la Francia è l’unico in calo (del 2%) a fronte di un aumento complessivo del 14 per cento. La percentuale di “decisori” disposti a prendere in considerazione la Francia per realizzare un nuovo investimento è scesa dal 35% al 24 per cento. E in testa alle motivazioni – oltre ovviamente alla pressione fiscale – ci sono proprio le rigidità del mercato del lavoro e le tensioni sociali.

A meno di un anno dalle elezioni presidenziali, Hollande non può ovviamente fare marcia indietro su una riforma alla quale affida le residue (e remote) possibilità di candidarsi alla propria successione e magari riuscire persino a sfidare la leader dell’estrema destra Marine Le Pen nella corsa all’Eliseo. Ma neppure la Cgt, che con questa battaglia si gioca la posizione di primo sindacato francese, è disposta ad arrendersi.

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