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Scontri per Trump in California

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LA CORSA ALLA CASA BIANCA

Scontri per Trump in California

I grandi vizi - pubblici e segreti - del candidato repubblicano e della probabile portabandiera democratica che moltiplicano le incertezze sulle elezioni presidenziali americane di novembre sono sotto i riflettori. Trump ha visto una sua infuocata arringa anti-immigrati al Convention Center di San Diego, nella California meridionale ricca di residenti di origine latinoamericana, zittita da oltre 30 arresti dopo che la protesta di centinaia di dimostranti è degenerata in tafferugli con i militanti del costruttore e personalità televisiva newyorchese, provocando l'intervento della polizia in tenuta anti-sommossa.

La Clinton, nelle stesse ore, è finita al centro di nuove denunce sulle sue relazioni pericolose con l’alta finanza: dopo aver già rifiutato di rilasciare il testo di discorsi profumatamente remunerati da Goldman Sachs, è venuto alla luce che l’amministratore delegato di Goldman in persona, Lloyd Blankfein, ha investito in un hedge fund lanciato dal genero di Clinton, Mark Mezvinsky. Un’operazione, oltretutto, rivelatasi disastrosa: la società, Eaglevale Partners, è in perdita e ha di recente del tutto chiuso uno dei suoi fondi, Hellenic Opportunity, dopo aver bruciato oltre il 90% degli asset con scommesse errate sulla Grecia.

Le violenze di San Diego dimostrano come Trump, se ha ormai la nomination repubblicana in tasca, non ha tuttavia risolto i suoi problemi, a cominciare dalla necessità di apparire più presidenziale e di concentrare l’attenzione sugli avversari democratici. Ha promesso di puntare su 15 stati, comprese roccaforti democratiche quali New York e California, per vincere a novembre. Ma gravi controversie, oltre che nell’opinione pubblica per le sue proposte di costruire mura con il Messico ed espellere milioni di clandestini, esplodono oggi all'interno della sua stessa campagna. Tali da innervosire l'elite del partito, che pure si sta compattando alle sue spalle: la necessità di ridisegnare la sua organizzazione per le elezioni generali ha visto negli ultimi giorni le improvvise dimissioni forzate del direttore politico, Rick Wiley, che si era scontrato con responsabili locali in tre stati.

Tra i suoi collaboratori, rivela il New York Times, si sta anche diffondendo un rischioso clima di paranoia: temono che i loro uffici presso la Trump Tower di New York siano spiati da nemici con tanto di microspie e intercettazioni. Confusione regna anche sulla raccolta di finanziamenti: neppure i sostenitori che vorrebbero donare alla campagna o ai super-pac, le organizzazioni fiancheggiatrici, hanno finora ricevuto indicazioni su come procedere. Il suo stile manageriale, autoritario e irascibile, mostra la corda nel gestire una complessa e capillare operazione che va sempre più al di là della sua abilità di dominare i media con uscite imprevedibili.

Le divisioni, però, si aggravano contemporaneamente nel partito democratico. Clinton sta zoppicando come non mai verso la nomination: i sondaggi, un tempo a lei nettamente favorevoli, la vedono sostanzialmente appaiata allo sfidante interno Bernie Sanders nel cruciale stato della California, il più grande del Paese, che terrà le primarie il 7 giugno e dove otto anni or sono lei era riuscita a battere lo stesso Barack Obama. Hillary dovrebbe conquistare comunque delegati sufficienti per raggiungere il quorum minimo, ma il susseguirsi di scandali, dalle e-mail governative compromesse dal suo suo di un server privato ai soldi dell’alta finanza arrivati nelle sue tasche e in quelle della fondazione Clinton, solleva lo spettro di continue erosioni di consensi e di fiducia e di colpi di scena da qui alla Convention di luglio. Sanders ha esplicitamente indicato che cercherà di convincere i super-delegati, i funzionari di partito che non sono tenuti a votare per alcun candidato, a riconsiderare il loro iniziale appoggio a Hillary, forte di inchieste d’opinione che oggi lo vedono vincere in uno scontro diretto contro Trump mentre Clinton arranca e verrebbe sconfitta. Sanders e Trump si sono anche sfidati a un dibattito, ma il repubblicano ha poi fatto marcia indietro.

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