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Come il discorso del neolaureato di Harvard è stato visto 10 milioni di…

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sei minuti da record

Come il discorso del neolaureato di Harvard è stato visto 10 milioni di volte

Nel discorso che lo ha reso improvvisamente famoso, il giovane Livingston ricorda che la sua insegnante gli diceva: «Donovan, dobbiamo trovare il modo di sfruttare questa tua energia in eccesso». Era «il lungo tempo» in cui si sentiva «in un buco nero» , ora gli sembra di appartenere «alle stelle». Donovan Livingston, 29 anni, ha appena ottenuto un master in Education ad Harvard dopo una laurea in storia di quattro anni e un altro master alla Columbia University; su Youtube il video del suo discorso alla cerimonia dei diplomi raggiunge più di 500mila visualizzazioni, cinque volte più di quello di Steven Spielberg che in giacca e scarpe da tennis viene dopo di lui; la Bbc calcola che nell’ultima settimana questi sei minuti sono stati visti 10 milioni di volte.

Come un piccolo presidente, Livingston ora insegnante parla di istruzione strumento per abbattere le diseguaglianze sociali e razziali, uno dei temi più cari ai leader democratici, dal Clinton degli anni Novanta che predicava l’alfabetizzazione in giro per gli Stati del sud alle pagine sull’importanza di un efficiente sistema scolastico dell’«Audacia della speranza» di Barack Obama. Il successo di Livingston sembra però più figlio di quell’energia che ha trovato il modo di uscire e farsi conoscere al mondo, uno speech hip hop con la spinta ideale del primo Obama ma soprattutto col ritmo di Kendrick Lamar, rapper suo coetaneo vincitore di sette Grammy cresciuto in quella Compton, California, in cui è nato anche Straight Outta Compton, film rivelazione dell’estate scorsa sulla storia degli N.W.A. gruppo rap di fine anni Ottanta, sfondo la violenza di una periferia che trova sbocco nella musica.

È un momento in cui i giovani americani vedono prospettive peggiori dei loro genitori e nonni, non godono della ripresa dell’occupazione decantata dai numeri, vivono con l’incubo di non poter rimborsare il prestito con cui hanno finito l’università; alcune ricerche sostengono che non credono più neanche al capitalismo, molti si innamorano del settantenne “socialista” Bernie Sanders e rimangono alla larga da Clinton. In questo quadro il discorso di Livingston fa almeno bene all’umore, non foss’altro perché è già musica. Sullo sfondo rimane la tensione razziale che non è migliorata ma si è acuita nonostante otto anni di un afroamericano alla Casa Bianca, osservano molti. Sono stati gli anni degli scontri a Ferguson, le morti violente dei giovani neri nei sobborghi, le rivolte contro la polizia anche a New York, la nascita del movimento Black lives matter, ora gli insulti di Trump agli afroamericani, cortei di protesta e squadre antisommossa; questione che cova sempre in diversi modi e mondi, anche nel privilegio se si pensa alla polemica dei pochi attori neri alla serata degli Oscar.

Come spesso accade, gli anni in cui le crisi si acuiscono sono anche periodi in cui si sprigiona l’energia di cui parlava la professoressa di Donovan: la questione razziale ispira Ta-Nehisi Coates che scrive il celebrato Between the World and Me, biografia su cosa vuol dire essere nero negli Stati Uniti, si impongono una nuova generazione di rapper e nel mondo intellettuale newyorkese la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie, sguardo finalmente disinvolto sul tema delle origini; le ragazze in metro a New York portanoi boccoli della nera Beyoncè che alla finale dell’ultimo Super Bowl fa uno show ispirato alle Pantere nere causa di polemiche perché secondo alcuni la politica deve rimanere fuori dallo stadio. Livingston vola un po’ più in alto come l’omonimo gabbiano, anche più del maestro Spielberg che incita i neolaureati a «individuare un nemico», forse retaggio baby boomer che per fortuna non sembra interessare al neoleader millennial, parte della Rete ringrazia.

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