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LE PRIMARIE AMERICANE

Hillary Clinton conquista la California: è la prima donna candidata alla Casa Bianca

NEW YORK - Raggiante, con un elegante vestito bianco, i capelli perfetti, circondata da una folla di sostenitori in tripudio, Hillary Clinton ha rivendicato questa notte in America la vittoria “storica” delle primarie democratiche per la Casa Bianca del 2016. Ne aveva ogni diritto: nell’ultimo super martedì di questa lunga e imprevedibile corsa elettorale Hillary ieri ha davvero trionfato in quattro stati su sei, California inclusa, il premio più grande dell’intera corsa, spazzando ogni dubbio sulla sua credibilità politica presso l’elettorato democratico americano.

«Insieme ce l’abbiamo fatta - ha detto Hillary dai suoi quartieri generali a Brooklyn - abbiamo posto una pietra miliare nella nostra storia. Per la prima volta una donna è la candidata di un partito per l’elezione a presidente degli Stati Uniti. Mi congratulo con Bernie Sanders: la sua campagna elettorale è stata incredibile. Milioni di voti, soprattutto tra i più giovani. Il confronto che abbiamo avuto sarà un valore aggiunto per il partito democratico». Come dire, Bernie grazie, ma ora fatti da parte che si deve puntare alla Casa Bianca e alla lotta contro Donald Trump.

Una richiesta più che legittima quella di Hillary. Ieri ha vinto con una maggioranza schiacciante in California, lo stato più popoloso e più avanzato d’America. Mentre il conteggio continua, per ora la sua maggioranza californiana è calcolata nel 61 per cento. Ma lo stesso è successo in New Jersey dove la maggioranza è stata del 63% contro il 39% di Bernie Sanders; in New Mexico, 52% contro il 47% di Sanders, in South Dakota con il 53% contro il 46% di Sanders. Quattro stati dunque contro forse due stati per Bernie, il valoroso eroe solitario delle minoranze e dei diseredati che ha ottenuto una maggioranza forte del 64% nel Nord Dakota e gode in questo momento di un vantaggio di un punto percentuale nel caucus del Montana.

Sanders aveva promesso di tenere duro, ma abbiamo avuto notizia che ha già tagliato del 50% il suo staff. È vero, potrebbe resistere fino a martedì prossimo quando ci sarà l’ultimo appuntamento per la primarie democratiche. Ma il suo abbandono è solo questione di tempo. Sappiamo anche che su sua richiesta giovedì si incontrerà con Barack Obama alla Casa Bianca per «discutere della sua piattaforma e della necessità di introdurre alla convention temi forti come i suoi soprattutto in tema sociale». Di fatto ieri è anche partito il negoziato per la piattaforma e per gli scambi di nomine in previsione della Convention di Cleveland.

Barack Obama intanto ha chiamato entrambi i candidati democratici per congratularsi per le loro campagne, «fonte di ispirazione e di nuove energie per il partito democratico, e in grado di rendere politicamente partecipe una nuova generazione di americani», ha detto il presidente americano. Tutti sanno a Washington che Obama non vede l’ora di poter entrare direttamente nello scontro diretto contro Trump, per ridicolizzarlo.

Anche Trump ha festeggiato, ma la sua partita non aveva concorrenti. E occorre sottolineare che questo momento politico non è dei più fortunati per i suoi attacchi al giudice messicano a cui è stato assegnato il caso che riguarda presunte truffe delle sue università private. L’episodio ha messo a nudo tutti i limiti di Trump e lo ha esposto all’attacco feroce di molti suoi compagni di partito, da Newt Gingrich ex presidente della Camera a Paul Ryan che lo ha definito ieri un «razzista». È come se Trump avesse voluto mettere alla prova il suo elettorato, spingendosi ancora più in la nelle sue dichiarazioni provocatorie. Ma questa volta il gioco non gli è riuscito, il razzismo comunque non piace a un’America stanca sì della correttezza politica ma pur sempre ben conscia di avere il bene più prezioso in politica, quello della libertà, e il dono più importante, quello dell’'apertura per chiunque voglia arrivare legalmente in questo Paese.

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