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il viaggio di francesco

Papa parte per l’Armenia. Domani visita al memoriale del Genocidio, il Grande Male del 1915

Sarà un momento di silenzio, carico di significato. Papa Francesco parte questa mattina per l’Armenia - un programma di tre giorni - ma forse quello di domani mattina sarà il momento più denso, quando visiterà il Memoriale del Genocidio (Tzitzernakaberd, Collina o Fortezza delle rondini), a Erevan. Un complesso costruito nel 1967 dalle autorità sovietiche che ricorda la strage del popolo armeno perpetrato dal governo dei «Giovani Turchi» dell'Impero Ottomano nel 1915: al Memoriale, ogni anno, il 24 aprile, armeni da tutto il mondo salgono per commemorare le vittime del massacro dei loro fratelli, massacrati in infinite esecuzioni sommarie e marce della morte verso il deserto siriano.

Il monumento è frutto delle proteste che nel 1965, in occasione del cinquantenario del genocidio, costrinsero le autorità sovietico-armene ad autorizzare la sua costruzione, alla quale si erano sempre opposte. Davanti alla stele alta 44 metri Bergoglio ricorderà la vittime del primo genocidio del secolo, ma forse anche con un'attenzione sottile a non ricreare incidenti con la Turchia, dove è reato parlare appunto di genocidio, chiamato dagli armeni anche il “Grande Male”. È fresca la crisi di Ankara con la Germania su questo tema, a seguito dell'approvazione della legge da parte del Bundestag su riconoscimento del genocidio, ma il breve viaggio del Papa nella “prima nazione cristiana della Storia” è un fatto acquisito anche dalle autorità turche, alle prese con una gravissima crisi interna di sicurezza, che vede il susseguirsi di sanguinosi attentati.

Il messaggio “ecumenico” in un terra di conflitti dimenticati
In Armenia Francesco – che ribadirà in ogni modo la valenza “ecumenica” del suo viaggio, toccando un altro lembo della cristianità alloggiando nella casa del Catholicos (patriarca) di tutti gli Armeni Karekin II a Etchimiadzin, con il quale tuttavia non ci sarà una dichiarazione comune, e questo è un fatto del tutto inconsueto che forse cela delle trattative non andate a buon fine - troverà un Paese impegnato da più di vent'anni in una guerra infinita, quella per la regione del Nagorno-Karabakh, ufficialmente parte dell'Azerbaigian ma da tempo in controllo degli armeni. Un conflitto dimenticato che si trascina dalla fine degli anni 80 senza che si riesca a trovare un accordo di pace: 30mila morti e oltre un milione di profughi e sfollati.

Tre giorni di incontri e celebrazioni, quindi, ma che non vedranno il Papa andare alla frontiera con la Turchia per compiere un gesto in favore dell'apertura di quel confine, oggi chiuso: il progetto, a cui si era pensato e anche lavorato segretamente, è saltato. Quello dell'apertura della frontiera tra Turchia e Armenia è un tema particolarmente caro a papa Bergoglio. “Una cosa che a me sta molto a cuore è la frontiera turco-armena: se si potesse aprire, quella frontiera, sarebbe una cosa bella!” disse il 30 novembre 2014, rispondendo ai giornalisti durante il volo di ritorno da Istanbul. Dopo di allora tra Turchia e Santa Sede si è consumata una crisi diplomatica, proprio sul tema armeno: nella messa di celebrazione dei cento anni dei massacri del 1915 il Papa in piazza San Pietro parlò di genocidio e la Turchia per protesta immediata ritirò l'ambasciatore presso la Santa Sede, seguito da dichiarazioni molto dure. Una crisi poi ricucita di recente, a febbraio, quando in una nota ufficiale, in occasione della presentazione di un libro sui fatti storici dei Dardanelli, la Santa Sede parlò di “tragici fatti” (e non quindi genocidio). Il rapporto con la Turchia è delicato, vista la sua collocazione nel crocevia delle rotte di migrazione ma anche per la situazione della piccola minoranza cattolica nel mare musulmano, non sempre tollerante: ancora vivo è il ricordo delle tragiche uccisioni di don Santoro a Trebisonda e del vescovo Padovese a Iskenderun, fatti mai puniti. Tutti tasselli che si intrecciano con la visita in Armenia, dove si recò nel 2001 Giovanni Paolo II: i rapporti tra la Santa Sede e i cristiani armeni sono molto intensi da secoli e il loro carattere ecumenico si è molto rinforzato dal Concilio ecumenico Vaticano II.

La prima tappa di un programma nel Caucaso
Un viaggio è parte di un programma più ampio di Bergoglio nell'area del Caucaso: dal 30 settembre al 2 ottobre, il Pontefice infatti visiterà Georgia e Azerbaigian. In questi viaggi Francesco farà visita a paesi che insieme hanno 17 milioni di abitanti circa: i cattolici complessivamente sono 3,6% e, in pratica, esistono solo in Armenia – dove la piccola chiesa cattolica di rito armeno, nata nel 1742 separandosi dalla Chiesa apostolica armena, conta circa 160 mila fedeli nel Paese (il resto nella diaspora), di cui 80 mila a Erevan e gli altri nel Nord - e Georgia. Un'area dove numerosi equilibri politici, delicati e precari, s'intrecciano con interessi economici di grande rilievo non solo per la regione ma anche per l'Europa Centro Orientale e per il Medio Oriente. In questo quadro si innesta la vicenda del Nagorno Karabak, che di recente, in aprile, ha visto di nuovo inasprirsi il conflitto, con una violenza che non si registrava dal 1994, con decine di morti sia in campo armeno che azero. La zona è contesa dai due Paesi dal 1988: dalla fine della guerra sono in corso negoziati promossi dal Gruppo di Minsk, creato dall'Osce per monitorare il cessate il fuoco, guidato da Francia, Russia e Stati Uniti. Ma i risultati sono inesistenti, e in molti guardano con speranza al Papa.

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