Il capogruppo al Congresso del Psoe Antonio Hernando ha confermato oggi il «no» dei socialisti spagnoli ad un nuovo governo guidato dal premier uscente Mariano Rajoy. «Non appoggeremo l'investitura di Rajoy, né ci asterremo»
ha precisato, dopo una riunione della direzione socialista. Il Psoe, ha aggiunto, «starà dove lo hanno posto con il loro voto i cittadini, all'opposizione». Il «no» a una alleanza con il Pp è stato espresso già più volte dal segretario socialista Pedro Sanchez. Rajoy, vincitore delle politiche di ieri, propone però sempre come prima opzione una Gran Coalicion con il Psoe e Ciudadanos. Oggi ha indicato che inizierà i colloqui nel tentativo di formare il nuovo governo con un incontro con Sanchez.
E ahora que? E adesso che cosa succede? Dopo le elezioni spagnole, la domanda che si fanno gli spagnoli, e che preoccupa anche l'Europa, è sempre la stessa. Come è possibile sbloccare i veti incrociati dei partiti, trovare l'accordo per una coalizione che abbia la maggioranza, arrivare a formare un governo stabile.
La domanda è sempre la stessa, la stessa degli ultimi sei mesi, la medesima che tormenta anche i quattro principali leader politici del Paese, nelle cui mani da oggi, di nuovo sta il destino della Spagna.
Il cambiamento della politica spagnola dopo la lunghissima crisi economica si è fermato. Il Paese sembra incapace di mettersi alle spalle quarant'anni di alternanza al governo tra Popolari e Socialisti. Non si fida, e lo ha dimostrato ieri, dei due movimenti – Podemos e Ciudadanos – cresciuti rapidamente, nella protesta sociale e nella battaglia contro la corruzione. Ma non ancora in grado di porsi come alternativa alle formazioni storiche.
I numeri dicono, oggi, che l'unica coalizione che raggiunge la maggioranza assoluta è sulla carta quella tra i Popolari di ariano Rajoy e i Socialisti di Pedro Sanchez. Entrambi nel commentare il voto di ieri si sentono sollevati. Rajoy è uscito dalle urne come il vincitore. Sanchez è riuscito a cancellare l'incubo del sorpasso a sinistra. Ma quando valutano i risultati, tutto sommato positivi di ieri, Popolari e Socialisti si confrontano con le elezioni dello scorso dicembre, dimenticando che ieri si è confermata per loro una perdita di oltre il 20% dei consensi rispetto al 2011. Con tutta evidenza ancora devono abituarsi alla nuova realtà frammentata del Parlamento.
I numeri dicono anche che ogni coalizione cosiddetta ideologica – sia l'alleanza di sinistra tra Socialisti e Podemos o il blocco di destra tra Popolari e Ciudadanos – ha bisogno, per arrivare a una maggioranza risicata, del sostegno, incerto e instabile, di forze politiche locali, anche nazionaliste.
Infine i risultati mostrano che sono i Socialisti di Sanchez ad avere le chiavi per sbloccare la Spagna. Solo i Socialisti sono determinanti per far nascere un governo di maggioranza - o di minoranza con l'astensione - scegliendo se accordarsi con Rajoy o con Podemos. In entrambi i casi con Ciudadanos a fare dare assistenza.
Se Podemos insisterà nel rifiutare ogni patto, tuttavia, l'ipotesi più probabile diventa la grande coalizione che metta assieme tutti tranne gli indignati di Iglesias.
Ma i dubbi sono ancora molti. Il confronto è appena iniziato. Prima di settembre difficilmente si giungerà a un mandato di governo da parte di re Felipe VI. E a Madrid c'è già chi scommette su un'ulteriore, frustrante tornata elettorale prima della fine dell'anno.
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