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Bangladesh, una giovane nazione tormentata dalla jihad globale

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l’analisi

Bangladesh, una giovane nazione tormentata dalla jihad globale

Il Bangladesh, giovane e tormentata nazione, lotta per sopravvivere a un’ondata di estremismo radicale che rivendica il marchio dell’Isis anche in questo assalto di Dacca. Un’azione nel cuore della capitale, in un luogo molto frequentato da stranieri.

L’antico Bengala, diventato indipendente da Islamabad nel ’71, è Dar el Islam, terra di Islam e di jihadisti, come lo stesso Pakistan e l’Afghanistan, dove il Califfato è entrato in concorrenza da tempo con i Talebani. Nell’ultimo anno e mezzo in Bangladesh - un Paese di 160 milioni di abitanti dove dal 1988 l’Islam è la religione di Stato - sono state uccise quasi cinquanta persone, tra blogger indipendenti, difensori della laicità, militanti della causa omosessuale e leader religiosi moderati. La loro colpa? Non accettare l’ideologia degli islamisti. Il governo, che attribuisce l’ondata di attacchi a gruppi di estremisti islamici, ha reagito arrestando migliaia di persone ma sembra che questo non sia bastato e che la propaganda jihadista faccia sempre più proseliti.

Lo spazio a disposizione della tolleranza religiosa si sta riducendo sempre di più. Qualche tempo fa in un editoriale dai toni allarmistici, il quotidiano di Delhi The Hindu sosteneva che la battaglia per il futuro del Bangladesh si gioca ora: «Più a lungo il governo si terrà ai margini della lotta per la laicità, più potenti diventeranno le forze dell’estremismo». È purtroppo quanto abbiamo già visto accadere in altri Paesi musulmani dove l’islamismo si è fatto strada facendo leva sulle mancanze dello Stato, la povertà e la frustrazione dei musulmani: minoranze radicalizzate con la predicazione e la violenza hanno poi trascinato e schiacciato intere società verso l’estremismo. L’Isis del Califfo al-Baghdadi in questi anni è diventato un potente magnete nell’attirare militanti a livello globale sbandierando i successi militari ottenuti in Iraq e in Siria: arretra nel Siraq ma la sua propaganda non si è fermata. E anche in Bangladesh è arrivato il suo marchio. Ricordiamo l’uccisione del cooperante italiano Cesare Tavella, assassinato a Dacca nel 2015: fu lo Stato islamico a rivendicare l’omicidio, il primo di una lunga serie. Per questo assassinio sono state incriminate sette persone tutte appartenenti a gruppi islamisti locali che vogliono destabilizzare il Paese.

Ma in Bangladesh con l’islamismo jihadista in ascesa ci sono anche vecchi conti da regolare. Un mese fa è stato impiccato Motiur Rahman Nizami, leader del principale partito islamista condannato a morte per crimini di guerra. È il quarto esponente di spicco di Jamaat-e-Islami a essere impiccato e la sua esecuzione ha scatenato un’ondata di violenze. Rahman Nizami, che si opponeva come molti islamisti all’indipendenza del Bengala, è stato giudicato colpevole del massacro di alcuni intellettuali durante la guerra di separazione dal Pakistan del 1971. Il Bangladesh, all’epoca Pakistan orientale, sentendosi discriminato, aveva deciso di staccarsi con l’appoggio dell’India, nemico storico del Pakistan: il conflitto fece tre milioni di morti e ha lasciato aperte ferite mai rimarginate nella società bengalese ma anche nella geopolitica di un’intera regione.

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