
«Prima erano 183, ora sono 184 i Paesi che celebrano l’indipendenza, una straordinaria vittoria del cittadino comune contro la politica, la ricchezza e il potere». L’ormai ex leader dell’Ukip, il partito euroscettico britannico che ha vinto la scommessa di portare la Gran Bretagna fuori dall’Ue, si è presentato stamane al parlamento di Strasburgo in una sala piena di giornalisti.
Il disco è ormai noto: «È stata la vittoria della gente onesta, gli accordi siglati finora con l’Ue sono pessimi, la mia paura è quella di rimanere vincolati alle stesse norme ma non succederà, a ogni modo tornare all’OMC e dazi è una soluzione migliore di quella attuale».
“La zona euro avrà più problemi della Gran Bretagna e comunque noi avremo soprattutto una nazione che si autogoverna, avremo più libertà”
Nigel Farage, leader dimissionario dell’Ukip
Eppure mentre risponde alle domande, il populista che lascia la scena da vincitore stecca. Gli si ricorda che lui, orgoglioso di non essere un politico di professione, lavorava nel mondo degli affari prima di diventare leader degli eurofobi, gli si chiede quindi come reagirà se la Brexit si rivelerà un grosso guaio per l’economia britannica. «La zona euro avrà più problemi della Gran Bretagna - risponde - e comunque noi avremo soprattutto una nazione che si autogoverna, avremo piu libertà, questa è stata l’argomentazione fondamentale del referendum su Brexit. Sono ottimista sull’economia, ma più importante dell’economia è il fatto che il nostro Paese sia diventato normale, libero e indipendente. Tutto questo è più importante del portafoglio». Un’implicita ammissione che il partito che più ha spinto per far uscire il Regno Unito dall’Ue non ha fatto i conti con i benefici per i cittadini, sia il 52 per cento che ha scelto di andare via, sia il 48 che voleva restare.
La debolezza del progetto economico di Farage si rivela anche quando un’altra reporter - a chi fa le domande viene chiesto di dichiarare se il media per cui lavora prende soldi dall’Ue, la risposta è sempre no - torna sulla questione dei 350 milioni prima indirizzati all’Ue che con Brexit sarebbero tornati alla sanità britannica. Una bugia che lo stesso Farage ha ammesso essere tale pochi giorni dopo il voto: «È stato uno sbaglio seguire quella strada ma adesso avremo più denaro, no?».
Brexit, Farage si dimette da capo dell'Ukip: obiettivo raggiunto
Questo inno all’indipendenza anche a dispetto dell’economia appare ancora più contraddittorio quando una giornalista scozzese chiede a Farage che cosa pensa del fatto che il Regno Unito rischia di disgregarsi perché la premier scozzese Nicola Sturgeon è intenzionata a chiedere un secondo referendum sull'indipendenza. «Quando gli indipendentisti hanno perso nel 2014 il prezzo del petrolio era alto, adesso è a 47 dollari, Sturgeon perderebbe alla grande di nuovo». Quindi l’anelito di indipendenza degli scozzesi si riduce al prezzo del barile.
Farage non nomina nessun leader politico britannico, né alleato né avversario, non indica un nome di riferimento ora che David Cameron e Boris Johnson si sono ritirati e il partito conservatore cerca un nuovo premier e leader. Curiosamente nomina soltanto «Tony Blair e Bob Geldof» e li definisce irresponsabili perché hanno chiesto ai britannici di ignorare il risultato del referendum.
Non è poi detto che il suo sia un vero addio alla politica (ce ne sono stati altri e non hanno retto). Farage dice di essere pronto ad andare in Olanda da Gert Wilders e in qualsiasi altro Paese europeo per dare una mano a quei movimenti che seguiranno la stessa strada della Gran Bretagna. «Non partiti, ma movimenti - sottolinea - come i Cinque Stelle in Italia, avete visto come stanno trasformando la politica italiana usando Internet?».
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