Qualsiasi cosa sia accaduta, chiunque sia stato a perpetrarla, quali fossero l'obiettivo e i propositi, in questa stagione di terrore un crimine di queste dimensioni non può che essere stato compiuto dall'Isis, da al-Qaeda, da qualsiasi forma di terrorismo islamico. C'è sempre la possibilità del gesto individuale, di una forma di “follia all'americana”, dell'individuo armato. Ma le dimensioni dell'attentato, del bilancio provvisorio, incerto ma apparentemente mostruoso delle vittime, offre poche speranze all'ipotesi del gesto di un disperato. Forse di un singolo ma probabilmente di un “cane sciolto”, di un “lupo solitario” o di una di quelle definizioni contemporanee per indicare una motivazione politica: una motivazione soprattutto religiosa. Non solo uccidere ma farlo in maniera vistosa, semplice e brutale.
Non era passata nemmeno una settimana dalla fine dei campionati europei di calcio: un obiettivo sensibile e facile per il terrorismo, ma troppo prevedibile. Tutto si era svolto con ordine fino alla finale di domenica scorsa, a parte la stupida pervicacia degli hooligans inglesi e russi. “La minaccia del terrorismo rimane alta”, aveva ammonito solo ieri sera François Hollande nella tradizionale intervista del 14 di Luglio. Tuttavia aveva promesso che il 26 sarebbe terminato lo stato d'emergenza, promulgato il 13 novembre scorso dopo il massacro del Bataclan.
Il 14 di luglio, festa della Repubblica, ricorrenza fondamentale della Francia repubblicana e democratica, simbolo laico delle libertà che non sono solo di quel paese ma rappresentano i valori fondanti dell'Europa. Ancora in piena notte, le autorità francesi continuavano a parlare di “atto criminale”, di gesto folle di un individuo. Ma è difficile che il 14 di luglio, il lungomare più famoso del Mediterraneo sia trasformato in un campo di battaglia per un semplice gesto di follia individuale; che per ore si parli di scontri armati, di turisti presi in ostaggio, di attentatori in fuga, solo per il gesto di un singolo.
Difficile che tutto questo accada senza quella mobilitazione silenziosa o quell'ordine non necessariamente scritto del Califfato. In questi giorni gli esperti stanno spiegando come l'Isis stia preparando i suoi miliziani all'inevitabile sconfitta militare a Raqqa in Siria e Mosul in Iraq. Resistere non ha più senso, ora che gli eserciti convenzionali, gli americani in Iraq e i Russi in Siria, si stanno militarmente organizzando. La preparazione dei militanti all'imminente sconfitta è la promessa della continuità della folle lotta: consiste nel ritorno a casa dei combattenti stranieri, nella mobilitazione delle quinte colonne in Europa.
Le modalità dell'attentato compiuto con un camion frigorifero, la scelta del giorno e dell'ora festiva sul lungomare, le armi e gli esplosivi trovati a bordo dalla polizia: tutto fa credere a quella continuazione della battaglia promessa dal califfo al Bagdadi con altri mezzi ugualmente letali. Se così è, se tutto questo oggi verrà confermato, una ulteriore mobilitazione militare occidentale e degli alleati arabi in Medio Oriente, non avrebbe alcuna logica. A quel livello, sul piano bellico tradizionale, la battaglia sta per essere vinta. Ma anche prima che Raqqa e Mosul vengano liberate, quello che deve essere rafforzato è il fronte interno. Un fronte che non è solo in Francia, in Italia o in Germania ma che è comune in Europa, fra Europa e Stati Uniti e fra Occidente e Russia.
Al di là delle diverse ambizioni in Ucraina, delle paure polacche evidenziate dall'ultimo vertice Nato, dell'espansionismo russo che ha in mente Putin, è sempre più chiaro che il terrorismo islamico, i suoi epigoni e la continuazione della sua follia con ogni mezzo, sono un pericolo per tutti. E tutti hanno l'obbligo di combatterlo e sconfiggerlo insieme.
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