In Turchia è nata una nuova città invisibile, quella dei desaparecidos, degli arrestati, dei licenziati, dei sospesi e dei silurati. Compare soltanto in una mappa, quella dove dovrebbe ancora esistere uno stato di diritto che qui viene cancellato ora dopo ora. Che aria tira si era visto subito ieri mattina quando in Piazza Taksim a Istanbul, dove nel 2013 esplose la rivolta dei giovani - sembra un secolo fa - è comparso un grande striscione con una scritta assai esplicita: «Gulen sei un cane del diavolo e ti impiccheremo». Poi lo slogan truculento è stato tolto, e le ronde dei militanti del partito islamico Akp - alcuni girano in mimetica ma non si capisce se sono o meno poliziotti - se ne sono andati accompagnati da scrosci temporaleschi, lasciando indisturbate pure dozzine di ragazze senza il velo e con le gonne corte di stagione. Le uniche persone forse che ieri continuavano a sorridere alla vita senza inibizioni.
L’ex alleato Fethullah Gulen è il nemico numero uno e i gulenisti sono ormai trattati alla stregua dei terroristi e dei traditori: stato d’emergenza, tribunali speciali, con questo menù il governo del partito islamico Akp si prepara a mettere la museruola non solo ai golpisti, ma anche agli oppositori e alla società civile in generale. Decisioni discusse per lunghe ore nel corso dell’Alto consiglio per la sicurezza nazionale, Mkg, a cui hanno preso parte anche i militari, malgrado adesso sia Erdogan - che in un’intervista non ha escluso «colpi di coda dei golpisti» a dettare l’agenda. Dalla quale, stando almeno a quanto dichiarato dal vicepremier Nurettin Canikli, che ha definito «fuori discussione» la possibilità di un ricorso alla legge marziale.
Prima della rottura, circa tre anni fa i gulenisti erano i quadri del partito Akp, i militanti più preparati che difendevano non solo Gulen ma anche Erdogan, esponente di un Islam “moderato” che tanto piaceva all’Occidente e agli uomini d’affari. Gulen era stato il grande finanziatore e collettore di voti dell’Akp. Ma il mondo è cambiato quando l’Imam in esilio in Usa ha contestato a Erdogan le sue tendenze autoritarie e la politica avventurista in Siria.
La Grande Epurazione, che sembra uscire da un romanzo di di stampo orwelliano, è colossale perché il movimento Hizmet contava per circa 4-5 milioni di aderenti. Sarà interessante vedere in futuro, se mai ci saranno elezioni libere e corrette, quanti voti potrebbe perdere l’Akp. Ma su questo punto Erdogan e l’Akp sono maestri: con il “welfare state” alla turca e le elargizioni sanno come attirare i consensi tra gli strati più deboli ma anche in quella borghesia musulmana conservatrice anatolica che ne hanno decretato l’irresistibile ascesa. Il problema è come andrà l’economia: i capitali stranieri prendono il volo e ieri Standard & Poor's ha tagliato il rating sovrano della Turchia a “BB” (due gradini sotto il livello “junk”) con outlook negativo Decisione che ha spinto la lira turca a un nuovo minimo storico sul dollaro, a quota 3,0834.
Le forze armate sono in ginocchio: migliaia di militari arrestati tra cui un centinaio tra generali e ammiragli mentre la polizia e i servizi di Hakan Fidan hanno messo sotto sorveglianza gli ufficiali. Risultato: quello che dovrebbe essere un fedele alleato della Nato fa fuori i quadri dell’Alleanza e la base di Incirlik, da dove partono i raid contro il Califfato, è ancora senza elettricità e si tira avanti con i generatori. Non c’è fretta: l’Isis può aspettare mentre sono ricominciati i raid in Iraq contro i curdi del Pkk, per far capire che la Turchia, pur nella tormenta, non rinuncia a colpire la guerriglia. Gli americani ammettono ufficialmente che restare senza corrente a Incirlik «è un problema»: Erdogan ha impiegato un anno di estenuanti trattative per concedere l’uso della base per i raid anti-Isis e in un giorno si è spenta la luce.
Sono oltre 60mila le persone arrestate, sospese dal lavoro o licenziate in Turchia: questi sono i numeri della Grande Epurazione di Erdogan secondo alcune stime dei reporter di Bloomberg che già oggi potrebbe essere rivista al rialzo. Una purga rapida, sicuramente molto più efficiente del golpe militare fallito di venerdì scorso: in quattro giorni la Turchia è sta sconvolta, dalla gerarchie alla magistratura - quasi tremila giudici rimossi - all’istruzione, 20mila i dipendenti del ministero sospesi e 21mila insegnati lasciati senza cattedra insieme a 1.500 rettori e professori di Università e professori. Arrestato ieri anche il rettore dell’Università Gazi di Ankara, Suleyman Buyukberber, con l’immancabile accusa di essere un gulenista. Tra l’altro insegnanti e ricercatori turchi all’estero dovranno rientrare secondo l’ultimo decreto del governo.
Più che una stato incline all’islamismo, la Turchia in questo regolamento di conti del dopo golpe sembra avere preso la piega staliniana dei satelliti dell’Urss negli anni Cinquanta: ma questo è ancora un Paese della Nato?
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