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Francia, è legge la riforma del lavoro

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Più flessibilità per le imprese

Francia, è legge la riforma del lavoro

Il primo ministro francese Manuel Valls (a sinistra) all’Assemblea Nazionale (Epa)
Il primo ministro francese Manuel Valls (a sinistra) all’Assemblea Nazionale (Epa)

La riforma del lavoro che ha spaccato la Francia e ha visto contrapporsi per mesi governo e sindacati, è stata approvata definitivamente dal Parlamento. «Un grande passo per la riforma del nostro Paese: più diritti per i nostri lavoratori, più visibilità per le nostre piccole e medie imprese, più posti di lavoro», ha commentato il premier Manuel Valls. Sia l’opposizione di destra sia la sinistra estrema hanno già annunciato ricorsi al Consiglio costituzionale contro la Loi Travail. E i sindacati hanno promesso di tornare in piazza il 15 settembre.

Per evitare il voto della Camera bassa il governo socialista ha fatto ricorso al meccanismo della fiducia e in mancanza di mozioni contrarie la legge - l’ultimo progetto del quinquennio di François Hollande prima delle elezioni presidenziali del 2017 - è stata approvata. La legge nelle intenzioni del governo dovrà sbloccare il mercato del lavoro in un Paese dove la disoccupazione ha toccato il 10 per cento.

Nella prima versione, presentata a marzo, la riforma presentava profonde modifiche per il mercato del lavoro francese. Di fronte alle manifestazioni dei sindacati e degli studenti e al rischio di una contestazione generalizzata, Hollande e Valls hanno tuttavia preferito eliminare alcuni punti caratterizzanti del progetto: la fissazione di un tetto alle indennità di licenziamento (da 3 a 15 mesi di retribuzione), confermando l’attuale discrezionalità lasciata ai giudici del lavoro; la possibilità per i gruppi multinazionali di varare piani di ristrutturazione (con tagli degli organici) sulla base dell’andamento del singolo impianto francese e non – come accade ora ed è stato confermato – sui risultati dell’intero gruppo; l’opportunità per le piccole e medie imprese di concordare con il singolo dipendente le variazioni dell’orario di lavoro (ricorrendo al cosiddetto “forfait giorno”); l’aumento, in caso di necessità, dell’orario degli apprendisti senza chiedere all’Ispettorato del lavoro.

Nella riforma approvata, restano i licenziamenti per ragioni economiche. Il testo fissa infatti in modo chiaro i criteri che consentono all’impresa di procedere. E cioè un calo dei ricavi di un trimestre per le aziende con meno di 11 dipendenti, di due trimestri consecutivi per quelle tra 11 e 50 addetti, di tre per quelle da 50 a 300 lavoratori e quattro per quelle con oltre 300 addetti. Sempre passando per un accordo sindacale. Confermato anche il referendum aziendale al quale può ricorrere l’impresa nel caso di accordo approvato da uno o più sindacati che hanno almeno il 30% dei consensi: in caso di vittoria dei “sì” l’intesa viene applicata e chi si oppone può essere licenziato per ragioni economiche. Cade la possibilità di veto da parte di sindacati che hanno almeno il 50% dei consensi.

La nuova legge introduce anche la possibilità per un’impresa di concordare con i sindacati una flessibilità dell’orario per far fronte a un aumento della domanda e non solo in caso di difficoltà. Il livello mensile della retribuzione non potrà tuttavia cambiare. Anche in questo caso chi rifiuta potrà essere licenziato per ragioni economiche.

Nel testo finale è stata inoltre ribadita la prevalenza degli accordi aziendali, su orario e retribuzione degli straordinari, su quanto previsto a livello di categoria (anche se la categoria manterrà un controllo): le aziende potranno concordare con i sindacati una maggiorazione della retribuzione delle ore di straordinario (cioè al di là della 35ma ora settimanale) più bassa di quella prevista per la categoria (oggi mediamente del 25%), ma comunque non inferiore al 10 per cento.

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